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Nozione generale e fondamento del testamento

Il testamento è stato sempre un atto essenzialmente formale per l’estrema importanza di tutti gli ordinamenti giuridici gli hanno attribuito.

Il nostro legislatore richiede ad substantiam, non genericamente, la forma scritta, ma una delle tipiche forme espressamente e tassativamente stabilite dagli artt. 601 ss. codice civile: testamento olografo, testamento pubblico, testamento segreto e testamenti speciali.

Per quanto concerne la giustificazione di tale formalismo, in dottrina diversi autori hanno espresso le loro opinioni, tra loro anche discordanti.

Alcuni autori hanno affermato che la statuizione di forme solenni nel testamento avrebbe lo scopo di tutelare gli interessi degli eredi legittimi a conservare, nell’ambito della famiglia legittima, il patrimonio del testatore, in quanto sarebbero tutelati contro avventate o precipitose decisioni del testatore.

A sostegno di tale tesi si rinviene l’art. 590 codice civile, il quale consentirebbe l’eccezionale sanatoria di un testamento invalido proprio perché l’interesse degli eredi legittimi non meriterebbe ulteriore protezione quando essi stessi, pur consapevoli dell’invalidità del negozio, abbiano consentito a dargli parimenti esecuzione.

Altra dottrina, invece, riscontra nel formalismo testamentario due diverse funzioni: la garanzia di una più riflessiva formulazione della volontà testamentaria, svolgendo una funzione sostanziale e la pre-costituzione di una prova della volontà del testatore attraverso la creazione del documento, caratterizzandosi di una funzione anche processuale.

Questo formalismo, secondo molti autori, tra cui Capozzi, è stato sottoposto a diverse critiche, venendo giudicato, talvolta, eccessivamente rigoroso.

Testamento otale: nozione generale

Partendo da questa critica all’eccessivo formalismo imposto dal nostro legislatore per il testamento, ci occupiamo ora di un tema molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, ovvero il testamento orale o nuncupativo.

Diversi autori, infatti, si sono occupati della possibilità di confermare, in base all’art. 590 codice civile, il testamento in forma orale o nuncupativo, termine derivante dal diritto romano, composto dalle parole nomen e capere, ossia prendere e dichiarare un nome, quello dell’erede, in una forma solenne e pubblica.

Alcuni ordinamenti, come quello svizzero, ancora oggi ammettono il testamento nuncupativo, prevedendone l’utilizzabilità nei casi in cui, per effetto di circostanze straordinarie, come l’epidemia o la guerra, sia impedito al testatore il ricorso ad una delle altre forme.

Validità o meno del testamento orale

Occorre stabilire se il testamento orale sia solo nullo, per evidente vizio di forma ex art. 590 codice civile o se sia addirittura inesistente, perché, mancante dei requisiti minimi necessari per configurare un negozio di ultima volontà.

Una parte della dottrina, tra cui Bianca e Gazzoni, nonché alcune sentenze della Corte di Cassazione sostengono la tesi della sanabilità, trattandosi di un atto nullo per la mancanza di un elemento formale voluto dalla legge ad substantiam e, precisamente, per mancanza di autografia o di sottoscrizione.

In questo modo si rispetterebbe anche la funzione stessa della sanatoria, ossia l’esigenza morale del rispetto della volontà del defunto considerando anche che la morte rende impossibile la rinnovazione dell’atto.

La tesi prevalente in dottrina, sostenuta da autori quali Santoro-Passarelli e Capozzi, osserva, al contrario, che è la legge a stabilire i difetti che possono dar luogo alla nullità o all’annullabilità di un testamento, come emerge dal tenore letterale dell’art. 606 codice civile.

Tuttavia, il legislatore suppone sempre un minimo di requisiti per cui, in caso concreto, possa ravvisarsi un testamento secondo la natura essenzialmente formale dell’atto.

Quando, invece, la forma solenne sia del tutto mancante, come nel caso di disposizioni testamentarie dettate oralmente, il negozio, nel silenzio legislativo è da ritenersi del tutto “inesistente”.

Pertanto, a sostegno della tesi negatrice sull’esistenza del testamento nuncupativo è stato osservato che, se si ammettesse un testamento in forma orale, la conferma non avrebbe natura di atto accessorio, bensì di atto autonomo sostitutivo del testamento, in quanto colui che conferma dovrebbe dare esecuzione alle disposizioni testamentarie contenute in una scheda predisposta da persona diversa dal testatore.

Inoltre, l’eventuale conferma non consentirebbe comunque il trasferimento di beni immobili, relativamente alle ipotesi in cui l’atto scritto fosse richiesto dalla legge a pena di nullità.

A sostegno di questa impostazione vi è anche la relazione n. 126 del Guardasigilli, la quale asserisce che: “sarebbe stato assai pericoloso affidarsi alla relazione verbale di due testimoni che, a prescindere da ipotesi di malafede, possono aver frainteso le parole del testatore.

La stessa manifestazione di volontà del testatore, nelle circostanze previste dalla norma, può lasciare perplessi sul suo valore intrinseco. Piuttosto che affidarsi ad una volontà così malsicura, è preferibile regolare la successione con le norme stabilite dalla legge”.

A dare supporto a questa impostazione negatrice troviamo anche una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 10065 del 28 maggio 2020.

Questa ordinanza offre un interessante spunto di riflessione sul tema della convalida dei testamenti nuncupativi, ovvero testamenti orali, ai sensi dell’art. 590 del codice civile. Secondo la disposizione in commento, per la convalida di un testamento nuncupativo è necessario che esista una dichiarazione testamentaria definitiva e interamente formata, pur non essendo stata redatta per iscritto.

L’ordinanza enfatizza che la norma dell’art. 590 c.c. si applica solamente se è presente una disposizione testamentaria effettiva che rifletta la volontà del de cuius. Questo implica che, in assenza di una volontà testamentaria chiara e inequivocabile del defunto, tale norma non trova applicazione.

In particolare, la Cassazione chiarisce che in casi di sottoscrizione apocrifa, ovvero non autentica, del testamento, non può esserci convalida in quanto la disposizione testamentaria non può essere attribuita con certezza al de cuius.

Inoltre, l’ordinanza estende questa interpretazione anche ai casi in cui vi sia una falsità, sia ideologica che materiale, dell’intera disposizione testamentaria. In tali circostanze, infatti, sorge una “impossibilità naturale e giuridica” di ricondurre il testamento alla volontà del testatore, escludendo così la possibilità di convalida o esecuzione da parte degli eredi.

Questa decisione riafferma l’importanza della chiarezza e dell’autenticità nell’espressione della volontà testamentaria.

Essa sottolinea inoltre la necessità di un’attenta verifica dell’autenticità e della validità delle disposizioni testamentarie, soprattutto in assenza di una forma scritta, per garantire il rispetto della volontà del de cuius e la corretta applicazione della legge.

Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto fin ora esposto sulla vexata quaestio, possiamo in conclusione affermare che, qualora si ammettesse la confermabilità del testamento nuncupativo, non sarebbe possibile procedere alla sua pubblicazione.

Tuttavia, alcuni autori, tra cui Navarra, hanno tentato di risolvere la suddetta problematica proponendo la pubblicazione di una copia della sentenza con cui sia stato accertato il testo delle disposizioni testamentarie espresse verbalmente.

A screditare questa tesi, però, resta il fatto che la sentenza sia un atto diverso e separato dal testamento e, in quanto tale, non idoneo a colmare la mancanza del requisito fondamentale e necessario per la sua pubblicazione: la forma scritta.