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Utili spunti dalla Riforma del Diritto Successorio svizzero recentemente entrata in vigore

Nella seduta del 19 maggio 2021 il Consiglio federale svizzero ha deciso di porre in vigore la revisione del diritto successorio dal 1° gennaio 2023. Con il nuovo diritto gli ereditandi potranno in futuro disporre liberamente di una parte maggiore della loro successione.

Dare notizia di tale riforma in Italia è opportuno, considerato il numero rilevante di spostamenti tra le due nazioni, le numerose coppie miste, le rilevanti relazioni imprenditoriali transfrontaliere.

Non da ultimo, la cosiddetta “efficacia universale” del Regolamento UE 650/2012 e la residua vigenza del vecchio trattato bilaterale tra l’allora Regno d’Italia e la Confederazione Svizzera del 1868 possono portare sovente all’applicazione del diritto successorio svizzero.

Dando uno sguardo ai numeri del solo Canton Ticino, che per la sua collocazione e la lingua è territorio di interscambio di molti, il Console Generale d’Italia a Lugano, in una intervista riportata da “Ticino Welcome” del 2020, ha ricordato che risultano iscritti all’anagrafe del Consolato d’Italia a Lugano oltre 122.000 cittadini italiani, di cui circa 40.000 con doppia cittadinanza, e che il numero dei frontalieri italiani in Ticino oscilla attorno i 60/65 mila. Meno numerosa e concentrata prevalentemente in Lombardia, Piemonte e Toscana la popolazione residente in Italia proveniente dalla Svizzera al 1° gennaio 2021 (secondo dati Istat: 8.153).

 

L’alleggerimento della quota di riserva varata in Svizzera comporta che ai figli, a cui prima spettavano tre quarti della quota ereditaria legale come legittima, dal 1° gennaio 2023 (data di entrata in vigore della novella) spetterà solamente la metà. Da tale data, inoltre, la legittima dei genitori sarà interamente soppressa, mentre resta immutata quella del coniuge e del partner registrato.

Secondo un comunicato stampa ufficiale, “la riduzione delle legittime agevola anche la regolamentazione successoria delle imprese familiari, la qual cosa ha conseguenze positive per la stabilità delle imprese e garantisce posti di lavoro”.

Fino a qui l’informazione. La notizia stimola però qualche breve considerazione sui due fronti strettamente connessi di una discussione estremamente ricca in giurisprudenza e in dottrina, discussione mai giunta ad uno sbocco riformativo: quello della possibile riforma in tema di successione necessaria e quello, collegato, di un possibile superamento del divieto dei patti successori in una realtà socio economica mutata e in evoluzione, dove il valore della tutela del nucleo stretto familiare richiede ancora tutela, ma vi è ancora di più l’esigenza di contemperare tale tutela con l’esigenza di circolazione di beni, diritti e imprese.

Le proposte, i gruppi di lavoro e i progetti di riforma non sono mancati, ma non si è mai giunti ad una auspicabile riforma.

Come ci indica la dottrina [1] vi è uno stretto rapporto funzionale tra il divieto dei patti successori, particolarmente marcato nel nostro ordinamento, e la tutela dei legittimari: il complesso rapporto tra i due temi è snodo imprescindibile per ogni tentativo di riforma.

Tale rapporto è chiaro nell’impianto del nostro diritto successorio, che presenta un nesso tra il divieto dei patti successori di cui all’art. 458 cod. civ. [2] e la tutela dei legittimari. Infatti, il divieto di patto successorio istitutivo rafforza il principio di tipicità delle fonti della delazione, essendo funzionale alla tutela dei legittimari in quanto impedisce che la frammentazione della vicenda successoria crei difficoltà alla riunione fittizia, che altro non è che la ricostruzione del patrimonio sul quale si calcolano i diritti del legittimario (art. 556 cod. civ.), che costituisce il necessario snodo per rendere effettiva la tutela del medesimo attraverso l’azione di riduzione [3].

Anche il divieto di patto successorio rinunciativo assolve una funzione (indiretta) di tutela del legittimario, infatti l’art. 557, 2° comma, cod. civ. stabilisce il divieto di rinunciare a diritti che gli potrebbero spettare su una successione non ancora aperta, essendo tale divieto già previsto dell’art. 458 cod. civ. e, quindi, nel contesto delle disposizioni generali sulle successioni [4].

In giurisprudenza si valuta se il caso di specie concreti o meno un patto successorio, nel tentativo pragmatico di conciliare interessi contrapposti nel caso concreto, senza affrontare il divieto in generale e tentare una ricostruzione sistematica.

È merito della dottrina aver valutato a tutto campo il problema affrontando la ricerca degli elementi essenziali in presenza dei quali si possa definire un negozio quale patto successorio.

Alla dottrina si deve la distinzione tra atti mortis causa, nei quali la morte entra nel negozio come elemento causale, e atti post mortem, nei quali la morte non è elemento programmatico del negozio, ma è semmai un elemento che regola l’efficacia del negozio.

La distinzione, peraltro, è utile unicamente per i patti istitutivi, che sono negozi mortis causa; non si attaglia invece ai patti dispositivi e rinunciativi, che sono negozi inter vivos: ecco allora che la natura di negozio a causa di morte di un patto non è sempre la cartina al tornasole per valutare se il divieto ex art. 458 cod. civ. sia stato violato o meno.

La ratio del divieto di patti successori istitutivi si ritiene tradizionalmente risiedere nel principio della tutela della assoluta libertà di testare e della piena revocabilità delle disposizioni destinate ad avere effetto dopo la morte, fortemente radicato nell’impianto del nostro diritto successorio e a cui sono funzionali, tra l’altro, l’inefficacia della rinuncia alla facoltà di revoca di cui all’art. 679 cod. civ. e il divieto del testamento congiuntivo previsto dall’art. 589 cod. civ. [5]. Così il testamento, nell’ordinamento attuale, è la sola fonte negoziale con cui si possono trasferire beni o diritti a causa di morte [6].

La ratio del divieto dei patti successori dispositivi e rinunciativi (che non costituiscono negozi mortis causa, bensì inter vivos) andrebbe colta nella esigenza di tutelare soggetti inesperti e prodighi che sarebbero portati a dilapidare in anticipo beni che prevedibilmente formeranno oggetto di successione in loro favore e di impedire il desiderio della morte del de cuius (c.d. votum corvinum o captandae mortis) e, quindi, troverebbe la propria ragione in canoni morali o nel tentativo di contrastare prodigalità o tendenze pericolose [7].

La giustificazione del divieto si sta, in qualche modo, erodendo: vi sono affermazioni in dottrina sulla perdita di giustificazione sociale e in giurisprudenza il divieto è avvertito negativamente e, salvo ipotesi eccezionali, resta sostanzialmente disapplicato.

Un autore [8] individua elementi di estraneità del divieto rispetto alle esigenze evolutive della società, in tal senso si assiste ad un vero e proprio lavoro dottrinale di sfaldamento del divieto, sia con riferimento alle ragioni del divieto, sia con riferimento agli interessi rispetto ai quali, nell’evoluzione sociale, il solo testamento appare inidoneo quale unica modalità di trasferimento della ricchezza in ambito successorio, mentre l’evoluzione della società richiede strumenti di autonomia privata rapidi. La ricchezza si è spostata dagli immobili agli investimenti mobiliari quali partecipazioni sociali, titoli di credito fondi di investimento: questa modificazione degli strumenti di immobilizzazione comporta inevitabilmente la necessità di un ripensamento dell’assetto dei trasferimenti successori e della tutela dei legittimari.

Inoltre [9] il divieto pare contrastare con interessi meritevoli di tutela e ciò sia con riferimento ai patti istitutivi (interesse del beneficiario alla irrevocabilità di attribuzioni disposte a suo favore), sia con riferimento ai patti dispositivi sia infine per i patti rinunciativi, soprattutto con riferimento al caso ricorrente di genitori con distinto patrimonio che intendano disporre dei beni considerandoli un unico patrimonio familiare, rispetto ai quali l’impossibilità di una rinuncia all’azione di riduzione in vita dei genitori è ostacolo insormontabile e, ancora, a casi in cui, rispetto a donazioni o regalie fatte da un genitore a favore di uno dei figli, gli altri legittimari siano disposti a rinunciare all’azione di riduzione.

Oggi possiamo ritenere che l’esigenza di una riforma in relazione all’emersione di diversi interessi degni di tutela, già espressa in riferimento all’introduzione del patto di famiglia [10], sia esigenza non circoscritta all’impresa, ma sentita anche in altri ambiti: possiamo infatti ritenere che il divieto dei patti successori contrasti non solo con l’esercizio dell’autonomia privata e con la dinamicità degli istituti collegati all’attività di impresa, ma anche con situazioni di circolazione di beni e diritti in genere degne di tutela.

Occorre considerare che nella pratica si assiste ad una intensificazione di fenomeni para-successori, con i quali attraverso donazioni, atti tra vivi, si cerca di dare un assetto dotato di stabilità al proprio patrimonio in vista del proprio decesso [11].

Un aiuto in senso evolutivo verso una riduzione della rigidità del divieto dei patti successori (e della tutela dei legittimari) ci viene da una analisi comparata di altri sistemi europei.

La dottrina [12] ci ricorda come in Germania i patti successori siano ammessi e trovino disciplina nel codice civile, alla pari del testamento, e come, in aggiunta al testamento semplice, il diritto tedesco riconosca il testamento congiuntivo. Peraltro, nell’ordinamento tedesco, il contratto successorio è a disposizione di tutti, mentre il testamento congiuntivo è consentito solo a coniugi ed a conviventi registrati

In Francia il divieto dei patti successori è stato gradualmente attenuato mediante la sostanziale previsione di patti successori leciti, oltre alla ammissibilità di una rinuncia anticipata all’azione di riduzione. Tali patti successori leciti sono la “clause commerciale” ammessa dalla giurisprudenza e l’estensione della “donation-partage” che consente di distribuire il patrimonio in vita tra i legittimari con il consenso degli stessi e, ancora, l’abrogazione del divieto di “vendere” (con patto rinunciativo) la successione di una persona vivente. La riforma del diritto francese del primo decennio di questo secolo comporta l’ammissibilità della rinuncia anticipata dell’azione di riduzione rispetto alla donazione del donante ancora in vita.

In Spagna vari diritti locali applicabili ai cittadini spagnoli secondo il principio della “vecindad civil” regolano patti successori [13].

Quanto al nostro Paese, non può non osservarsi che recenti interventi legislativi quali il ridimensionamento dell’efficacia restitutoria dell’azione di riduzione secondo il testo novellato dell’art 563 cod. civ. ad opera del D.L. 35/2005 (conv. in L. 80/2005 e modificato dalla L. 263/2005), l’introduzione del patto di famiglia con la L. 51/2006, l’introduzione del vincolo di destinazione con la L. 55/2006 e – ultimo non per ordine di importanza, ma per ordine di tempo – il Regolamento UE 650/2012, hanno stabilito una via di evoluzione del nostro diritto successorio, che va verso un ampliamento dei margini dell’autonomia privata rispetto alla tutela dello stretto nucleo familiare, o, meglio, verso un bilanciamento tra i propri interessi dopo la morte e l’aspettativa dei familiari più prossimi. Il diritto successorio si mostra così settore vivo e affatto impermeabile all’evoluzione del contesto sociale [14]. Sembrerebbero poter integrare un patto successorio istitutivo anche le clausole riguardanti il decesso del socio, di cui è stata conferma la validità con la riforma del diritto societario [15].

Non è possibile trattare, neppure in estrema sintesi, il tema dello stato dell’arte del divieto dei patti successori e della tutela dei legittimari, se non in rapporto all’entrata in vigore del Regolamento UE 650/2012 e alle ricadute dello stesso nell’ordinamento domestico per le successioni apertesi dopo il 17 agosto 2015. Si può qui nuovamente accennare alla distinzione tra atti mortis causa e atti tra vivi post mortem, distinzione utile anche per circoscrivere l’ambito di applicazione del regolamento, che attiene ai soli patti dispositivi, atti a causa di morte proibiti nel nostro ordinamento (tra quali si annovera anche il testamento congiuntivo). Una volta che il criterio di collegamento abbia individuato l’ordinamento le cui norme sono applicabili nella fattispecie, occorre poi comprendere se e in quali casi il giudice (e l’interprete) non possa applicare quelle norme in ragione di “manifesta incompatibilità con l’ordine pubblico del foro” ai sensi dell’art. 35 del regolamento. Sulla differenza tra ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale e su un possibile superamento della contrapposizione tra i due, soprattutto data l’entità della legislazione comunitaria (e internazionale) recepita dal diritto interno degli stati membri e in particolare dal nostro, si è dottamente discusso tra illustri studiosi di diritto civile e di diritto comparato [16].

Certo è che il portato del regolamento ha messo ancor di più a nudo la contraddizione tra il dato normativo, che sancisce il testamento come unico negozio mortis causa, e l’attuale tendenza ad una progressiva perdita di funzione del diritto successorio: nell’ultimo trentennio, una corrente dottrinale ha trovato motivazioni convincenti e la giurisprudenza ha virato nel concreto in senso evolutivo, giudicando su una casistica per la quale la successione della persona non risulta più affidata esclusivamente al testamento.

Sulla portata dell’art. 35 del regolamento suddetto vi è chi sostiene in dottrina che il limite dell’ordine pubblico non sarebbe applicabile con riferimento ai patti successori , tenuto conto del dettato del considerando 49, quindi per ragioni logiche e ratio normativa e in particolare in ragione dell’attenzione del tutto peculiare che il regolamento stesso riserva alla materia, tesa a riconoscere i diritti successori acquisti tramite un patto successorio istitutivo riconosciuto dalla legge permissiva applicabile; se non fosse così, si violerebbe il principio di libera circolazione all’interno dell’Unione in quanto la validità di un patto successorio dipenderebbe dallo spostamento della residenza abituale e, inoltre, il divieto dei patti successori esprime un principio di ordine pubblico italiano, ma non può ritenersi un principio di ordine pubblico internazionale [17]. Il limite potrebbe essere invocato solo ove il patto successorio e la legge regolatrice applicabile siano tali da generare nella fattispecie un effetto di vera e propria incompatibilità con il nostro ordinamento, come ad esempio nel caso in cui il patto o la legge che lo regola porti ad una discriminazione tra soggetti basata sul sesso [18].

Secondo diversa dottrina, fondata sul superamento della dicotomia tra ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale, nonché sul concetto di ordine pubblico europeo (attinente ai principi dell’Unione e derivante dal recepimento di norme e principi portati dalla normativa europea e dai trattati internazionale ratificati, che concorrono a ispirare l’ordinamento nel suo insieme, e sono parte che integra e qualifica il medesimo concetto dell’ordine pubblico), il divieto dei patti successori è tuttora, nella sua ratio, norma inderogabile nel nostro ordinamento. Ne segue che il giudice e l’interprete dovranno fare una valutazione in concreto degli effetti dell’applicazione della legge straniera: avremo quindi effetti applicativi per così dire differenziati dove la decisione della validità ed efficacia della fattispecie è rimessa al giudice [19].

Ne segue che, allo stato e fermi i nostri principi del diritto successorio, per i patti successori istitutivi molto dipende in Italia dalla interpretazione dei criteri applicativi della manifesta incompatibilità con l’ordine pubblico del foro di cui all’articolo 35 del Regolamento UE 650/2012 e, forse ancor di più, dall’adesione o meno alla tesi citata [20], per cui l’attenzione particolare dedicata dal regolamento ai patti successori istitutivi e la finalità del regolamento stesso di permettere l’applicazione del patto, valido secondo la legge applicabile, nel territorio dell’Unione, oltre al possibile effetto distorsivo della disparità di trattamento a seconda della legge applicabile, giustificano l’inapplicabilità in materia del limite dell’ordine pubblico, salvo casi di manifesta incompatibilità con il nostro ordinamento.

È opportuno ricordare:

che il limite dell’ordine pubblico, nel caso di patti successori istitutivi, non pare possa essere applicato ad un numero rilevante di casi in ragione della tendenziale coincidenza tra ius e forum, caratteristica fondante del regolamento citato;
che, pur essendovi notevoli differenze tra gli stati membri dell’UE sulle quote di riserva e tenuto presente il considerando 38 e il considerando 50 del regolamento, può affermarsi che il limite dell’ordine pubblico rilevi solo nel caso di persone residenti in Italia al momento dell’apertura della successione e nel caso di successione sottoposta alla legge italiana, e ciò conformemente alla relazione governativa alla riforma del d.i.p. e a un condivisibile orientamento giurisprudenziale [21].

Ciò considerato, è interessante notare che l’articolo 25 del regolamento 650/2012 cambia profondamente la prospettiva rispetto alle norme di diritto internazionale (L. 218/1995) in ragione delle quali il problema della legittimità di un patto successorio era sostanzialmente limitato a patti stipulati da cittadini stranieri con successione aperta in Italia, posto che il criterio di collegamento dell’articolo 46 L. 218/1995 portava all’applicazione della legge nazionale del soggetto al momento della morte [22]. La prospettiva cambia in quanto l’articolo 25 del regolamento 650/201 dispone che i patti successori (istitutivi) sono disciplinati dalla legge che sarebbe stata applicabile alla successione del soggetto qualora lo stesso fosse morto il giorno in cui l’accorso è perfezionato, il che comporta la validità del patto successorio concluso anche in Italia e anche da un cittadino italiano con residenza abituale – al momento della conclusione dell’accordo – in Paese membro che ritenga valido il patto successorio. Non solo: si può pure affermare che un cittadino italiano con residenza abituale in uno Stato membro che ammetta il patto successorio possa validamente concludere il patto successorio regolato da tale legge in Italia ed anche che sia valido un patto successorio concluso da coniugi residenti in Italia ,di cui uno sia cittadino di uno Stato membro che ammetta il patto, se i coniugi abbiano scelto come legge regolatrice tale legislazione [23].

Si è peraltro ritenuto in dottrina che, in ragione del Considerando 73 e dell’articolo 75 del Regolamento, essendo fatta salva la vigenza della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 per gli Stati che l’hanno ratificata, il Regolamento non si applichi ai testamenti congiuntivi [24]. L’ampliamento delle convenzioni a cui ha accesso il cittadino italiano ha così riacceso l’interesse dei commentatori.

È comunque indubbio che l’anticipazione del momento della rilevanza del criterio di collegamento alla data della redazione del patto successorio (nella ampia accezione e normazione del Regolamento) rivesta una portata notevole nel nostro ordinamento, considerato, tra l’altro, che per la prima volta si è di fronte ad una disciplina, seppur parziale, della successione contrattuale in presenza di elementi di internazionalità [25].

Va peraltro tenuto presente che per i patti successori dispositivi e rinunciativi, ai quali, come abbiamo detto, non si applica il regolamento citato, resta l’ostacolo insormontabile del divieto della rinuncia preventiva all’azione di riduzione [26]. Molto diversa è la situazione in Germania, il cui diritto non conosce il divieto, e in Francia, dove il divieto per detti atti è caduto.

Ipotesi di lavoro

Critiche alla ratio del divieto

Nel nostro sistema di diritto civile la ratio tradizionalmente posta alla base del divieto dei patti dispositivi o rinunciativi, consistente nell’esigenza di prevenire il desiderio della morte dell’ereditando, non reggerebbe per ragioni sistematiche. Infatti, un simile pericolo ben si potrebbe realizzare in fattispecie ammesse dal codice civile: in particolare, il nudo proprietario potrebbe desiderare la morte dell’usufruttuario, il socio di società di persone potrebbe desiderare la morte di altro socio nei patti di continuazione ex art. 2284 cod. civ. [27], il beneficiario dell’assicurazione a favore di terzo potrebbe desiderare la morte dell’assicurato [28].

Quanto ai patti istitutivi, non si comprenderebbe la ratio del divieto consistente nell’esigenza di assicurare la piena facoltà di revoca del disponente, posto che anche un patto istitutivo con facoltà di recesso ad nutum del disponente, secondo la dottrina, rientrerebbe nel divieto ex art. 458 cod. civ. [29].

Inoltre, si dovrebbe cercare di comprendere per quale ragione un divieto così rigido sia stato introdotto solo nella nostra codificazione unitaria (codice civile del 1865 e poi codice civile del 1942), se è vero che precedentemente (quantomeno prima della codificazione napoleonica), accanto al testamento, sono coesistite forme di pattuizioni ereditarie [30].

Prospettive di riforma

(i) In dottrina si discetta sulle possibili riforme del nostro diritto successorio. In questo contesto, con riferimento ai patti istitutivi si potrebbe pensare ad una abolizione del divieto e, a tal fine, un elemento assai utile di raffronto non può che essere il contratto ereditario di ambito tedesco, che da un lato porterebbe ad un depotenziamento della tutela dei legittimari e richiederebbe un’adesione consapevole (che ripensa due secoli di cultura giuridica dalla codificazione napoleonica in poi) alla sottrazione della facoltà di revoca al disponente, posto che da un contratto ereditario nasce l’affidamento delle parti; da altro lato comporterebbe la necessità di normare il contratto ereditario e la decisione da prendere sull’ampiezza o meno della facoltà di recesso del disponente [31]. Certo l’erosione del divieto è già in atto anche nel nostro ordinamento nazionale, principalmente per l’impatto del più volte citato Regolamento, e occorre considerare che l’atteggiamento favorevole alla successione pattizia da parte del legislatore europeo ha già avuto un impatto non trascurabile sul nostro ordinamento interno [32], il che rende ancor più auspicabile una riforma.

(ii) Quanto ai patti dispositivi e rinunciativi una riforma è possibile solo pensando all’abolizione o all’attenuazione del divieto di rinuncia all’azione di riduzione preventiva, lasciando spazio all’autonomia privata; anche in tal caso occorrerebbe ridisegnare l’assetto normativo.

Un recente disegno di legge

Merita un cenno il disegno di legge 1151 XVIII Legislatura Senato della Repubblica, presentato il 19 marzo 2019, in corso di esame in commissione, che nella parte relativa alle successioni (i) indica un criterio di delega volto a trasformare l’attuale quota di legittima in natura in legittima di valore, configurata come un diritto di credito anche su beni estranei all’asse ereditario, commisurato al valore del patrimonio ereditario al momento dell’apertura della successione, assistito da garanzia reale; tale diritto di credito potrebbe essere soddisfatto solo su alcuni beni ereditari; (ii) prevede l’introduzione di patti successori istitutivi, limitandoli alla devoluzione di beni individuati specificamente a favore di successori indicati; (iii) prevede l’attenuazione del divieto dei patti rinunciativi, con un eccezione al divieto in quanto si prevede possibilità di rinuncia irrevocabile per particolari beni [33].

Note

[1] M. Ieva, Appunti per un’ipotesi di revisione del divieto dei patti successori in Riv. not., 2018, 1 ss., e A. Fusaro, Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Ricerche giuridiche, II, supplemento al n. 1, Ca’ Foscari, 2013, 371 ss.

[2] La norma disciplina unitariamente vari tipi di patto successorio e pone un divieto generale di convenzioni su una successione ancora non aperta: patti istitutivi (con cui il de cuius con un contratto successorio dispone della propria successione), dispositivi (con cui un soggetto dispone dei diritti di cui può divenire titolare dalla successione di un altro soggetto) e rinunciativi (con cui un soggetto rinuncia ai diritti che gli possono spettare su una futura successione). In argomento, tra tutti, si vedano G. Casu, I patti successori, in AA.VV., Testamento e patti successori, Zanichelli, 2009, 463, e G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Giuffrè, 2015, 39.

[3] M. Ieva, op. cit., passim.

[4] M. Ieva, op. cit., 1 ss.

[5] In tal senso G. Casu, op. cit., 466 s., M. Ieva, op. cit., passim, e G. Capozzi, op.cit., 39 ss.

[6] Sul punto G. Casu, op. cit., 466 s., M. Ieva, op. cit., passim, e G. Capozzi, op.cit., 39 ss.

[7] Ritiene infondate le ragioni così tradizionalmente addotte C. Cicero, Il divieto del patto successorio nel codice civile italiano e le sue motivazioni, in Riv. not., 2018, I, 699 ss.

[8] G. Casu, op. cit., 469 s.

[9] G. Casu, op. cit., 470 ss.

[10] Tra tutti, si veda C. Caccavale, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, Appunti per uno studio sul Patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, consultabile in www.elibrary.fondazionenotariato.it.

[11] A. Fusaro, Uno sguardo comparatistico sui patti successori, cit., 353.

[12] Tra tutti, si veda A. Fusaro, Profili comparatistici dei contratti ereditari, in Riv. not., 2021, I, 659 ss.

[13] E. Calò, La pianificazione successoria dei cittadini spagnoli e dei residenti in Spagna alla luce della disciplina europea delle successioni, in Riv. not., 2018, I, 691 ss.

[14] Si vedano V. Putortì, Il divieto dei patti successori istitutivi alla luce del Regolamento UE 650/2012, in Dir. succ. fam., 2016, II, 845 ss., e A. Fusaro, Profili comparatistici dei contratti ereditari, op. cit., 659 ss.

[15] A. Fusaro, Uno sguardo comparatistico sui patti successori, cit., 375; per una trattazione più diffusa dell’argomento sia concesso il rinvio a L. Genghini, P.Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, II, Wolters Kluwer-Cedam, 2022, 1206 ss.

[16] Per tutti V. Putortì, op. cit., 845 ss., e A. Fusaro, op. cit., 659 ss.

[17] Sul punto A. Fusaro, Profili comparatistici dei contratti ereditari, cit., 659 ss.; similmente si veda anche C. Cicero, op. cit., 699 ss.

[18] F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, II, Utet Giuridica, 2019, 318.

[19] In argomento si rinvia a quanto riportato da V. Putortì, op. cit., 862 ss. e alla dottrina ivi richiamata.

[20] A. Fusaro, Profili comparatistici dei contratti ereditari, cit., 659 ss., e F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, cit., 318.

[21] F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, cit., 318 ss.

[22] Come è noto, nel precedente regime, per valutare validità e efficacia di un patto successorio, oltre al criterio della cittadinanza del defunto vi era anche il caso della scelta della legge applicabile nelle ipotesi previste.

[23] Per un’ampia prospettazione sul tema dell’erosione del divieto della delazione successoria pattizia nel nostro ordinamento nel contesto della prospettiva del legislatore europeo vedi I. Riva, Certificato successorio europeo. Tutele e vicende acquisitive, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, 29 ss.

[24] Vedi in proposito V. Putortì, op. cit., 860 ss. e gli autori ivi citati.

[25] V. Putortì, op. cit., 847 ss.

[26] A. Fusaro, Profili comparatistici dei contratti ereditari, cit., 659 ss.

[27] In tema della ammissibilità di un regolamentazione convenzionale delle conseguenze della morte di un socio nelle società di persone si vedano L. Genghini e P.Simonetti, Le società di persone, Wolters Kluwer-Cedam, 2021, 340 ss.

[28] C. Caccavale, Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I, Cedam, 1991, 39 ss., e M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Jovene, 1976.

[29] C. Caccavale, Il divieto dei patti successori, cit., 41 ss.

[30] M.V. De Giorgi, op. cit.

[31] In argomento vedi A. Fusaro, Profili comparatistici, cit., 659 ss., e M. Ieva, op. cit., passim.

[32] I. Riva, Certificato successorio europeo. Tutele e vicende acquisitive, cit. 29 ss.

[33] Consultato in www.senato.it.

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