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La vendita con riserva di proprietà

Nozione

La vendita con riserva di proprietà o vendita con patto di riservato dominio consiste in un particolare tipo di contratto di compravendita, con il quale si trova in un rapporto di genus et species, in cui la proprietà dell’oggetto resta al venditore, mentre il godimento è conseguito dall’acquirente al momento della stipula del contratto e il pagamento del prezzo è differito.

La vendita con riserva di proprietà trova una sua specifica disciplina negli artt. 1523 ss codice civile.

L’art. 1523 codice civile prevede che il momento dell’acquisto della proprietà da parte dell’acquirente e, dunque, il momento in cui si producono gli effetti reali del contratto, coincide con il pagamento dell’ultima rata di prezzo. Si tratta di una figura di vendita introdotta dal codice civile del 1942, il cui schema contrattuale consente, a chi non ha l’immediata disponibilità economica della somma necessaria a pagare l’intero prezzo al momento della conclusione del contratto, di ottenere l’immediato godimento del bene. Il legislatore si è quindi preoccupato di fornire al venditore una adeguata tutela consistente nella conservazione del diritto di proprietà sul bene fino al pagamento dell’ultima rata del prezzo.

E’ importante sottolineare che, sebbene l’istituto sia sorto prevalentemente per l’acquisto di beni mobili, stante la collocazione sistematica all’interno del codice civile e si estenda anche ai beni mobili registrati, stante l’espresso rinvio del legislatore all’art. 1524 codice civile, in dottrina è pacifico ritenere che questo tipo di vendita può trovare applicazione anche con riferimento ai beni immobili.

Natura giuridica

Con riferimento alla natura giuridica, in dottrina è discusso, tanto che sul punto sono state elaborate ben cinque tesi:

Tesi 1 – la teoria secondo cui siamo in presenza di un negozio sospensivamente condizionato al pagamento del prezzo, che attribuirebbe un diritto personale di godimento all’acquirente secondo cui il venditore subirebbe delle limitazioni sul piano obbligatorio;

Tesi 2 – la teoria della cd. proprietà risolubile, che configura tale negozio come una vendita risolutivamente condizionata la quale comporterebbe, in caso di crisi del rapporto, la risoluzione automatica del trasferimento (ma non dell’intero contratto di vendita);

Tesi 3 – la teoria della doppia proprietà, secondo la quale, dopo la conclusione del contratto, sia il venditore sia il compratore sarebbero da considerarsi proprietari del bene, il primo di un diritto ridotto e limitato nel suo contenuto, il secondo con riserva di pagamento;

Tesi 4 – la teoria della proprietà del compratore e del diritto reale di garanzia che resta in capo al venditore, in caso di inadempimento del compratore, consente allo stesso di esercitare l’azione di rivendicazione al fine di ottenere la restituzione della cosa venduta. Il venditore non vuole conservare né gli oneri né i rischi né i vantaggi del godimento del bene alienato: la formula del riservato dominio è solo un espediente per assicurare il recupero del bene in caso di inadempimento del compratore e di risoluzione del contratto;

Tesi 5 – attualmente prevalente in dottrina, la quale qualifica la vendita con riserva della proprietà coma una vendita obbligatoria, a seguito della quale il compratore tuttavia non è solo titolare di diritti, ma gravano sul medesimo determinati obblighi che conseguono alla consegna del bene. Tali obblighi sono rappresentati dalle spese di custodia, di amministrazione, di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e di riparazione.

Altro aspetto discusso in dottrina riguarda la posizione giuridica di cui è titolare l’acquirente. Sul punto in dottrina sono state elaborate tre tesi:

Tesi 1 – la teoria dell’aspettativa;

Tesi 2 – la teoria del diritto assoluto, ma non un vero e proprio diritto reale;

Tesi 3 – la teoria di un diritto reale sui generis ovvero di una situazione giuridica complessa costituita da un diritto reale di godimento del bene ed un’aspettativa di acquisto della proprietà, la quale oggi sembra prevalere ed in base alla quale l’acquirente può avvalersi delle azioni a tutela del diritto, sia petitorie, sia possessorie.
La dottrina prevalente ritiene, infatti, che il fascio di diritti e di obblighi che il legislatore riserva all’acquirente determini, in capo al medesimo, una situazione qualificabile come possesso della cosa, con la conseguenza che egli sarebbe titolare, in questa sua veste, dell’azione di manutenzione ex art. 1170 codice civile. Allo stesso modo spetterebbe all’acquirente il diritto di pretendere dai terzi il risarcimento dei danni provocati alla cosa.

Disciplina

I due effetti tipici della vendita con riserva della proprietà sono i seguenti:

a) L’acquisto della proprietà a favore dell’acquirente avviene con il pagamento integrale del prezzo;

b) L’acquirente assume i rischi della cosa sin dal momento della consegna.

In riferimento al secondo effetto vi è stata una disquisizione a livello dottrinale.

La dottrina prevalente ha asserito che, in deroga al principio generale secondo il quale “res perit domino”, nella vendita con riserva di proprietà l’acquirente assume i rischi della cosa fin dal momento in cui avviene la consegna materiale della stessa.

Opponibilità dell’acquisto ai terzi

Una questione di non secondaria importanza è quella inerente la trascrizione nei registri immobiliari del contratto di vendita con riserva della proprietà che abbia ad oggetto beni immobili. Come è noto non esistono, nel Libro VI del Codice Civile, norme che disciplinino la trascrizione della vendita immobiliare con riserva della proprietà. A tal proposito, occorre fare una previa distinzione tra la vendita di beni mobili e la vendita di beni immobili.

Beni mobili

Quando la vendita con riserva di proprietà ha ad oggetto beni mobili l’opponibilità ai terzi di tale acquisto presenta le seguenti peculiarità.

Per quanto riguarda i terzi creditori dell’acquirente, il patto è opponibile soltanto se risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento della res che ha formato l’oggetto del pagamento rateale, ai sensi del 1° comma dell’art. 1524 codice civile.

Con riferimento, invece, ai terzi acquirenti del compratore occorre distinguere:

a) Per le macchine con un valore superiore ad euro 15,49 il patto è opponibile se trascritto in un apposito registro tenuto presso la Cancelleria del Tribunale, ai sensi del 2° comma dell’articolo 1524 codice civile;

b) Per le cose mobili diverse valgono, invece, le regole generali previste dall’articolo 1153 codice civile.

Beni immobili

Con riferimento ai beni immobili, la trascrizione avviene immediatamente con l’indicazione nella nota dell’esistenza della riserva e, al momento dell’intero pagamento del prezzo, la relativa indicazione viene cancellata (attraverso un ulteriore atto).

La soluzione utilizzata ordinariamente nella prassi è, pertanto, quella di menzionare la riserva di proprietà nella nota di trascrizione attraverso il ricorso al meccanismo condizionale di cui all’ultimo comma dell’articolo 2659 codice civile, specificando, altresì, nel “quadro D” che si è in presenza di una vendita a rate con riserva della proprietà.

L’avvenuto integrale pagamento del prezzo dovrà, di conseguenza, essere annotato a margine della trascrizione della vendita ex art. 2668, comma 3, codice civile, presentando al Conservatore dei registri immobiliari una dichiarazione del venditore nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Problematiche inerenti la voltura catastale del contratto

Le considerazioni in ordine alla posizione giuridica dell’acquirente portano con sé la necessità di affrontare il problema della voltura catastale del contratto.

La prassi ha individuato due soluzioni: non procedere, nell’immediato, ad alcuna voltura catastale, rinviando tale adempimento all’integrale pagamento del prezzo; procedere, al contrario, immediatamente alla voltura catastale evidenziando il possesso dell’acquirente.

Qualora non si proceda alla voltura catastale immediata, voltura che, come indicato, sarà effettuata con l’atto che farà constare l’avvenuto integrale pagamento del prezzo, nel Modello Unico Informatico (M.U.I.) la circostanza andrà segnalata barrando la casella “voltura differita” nel quadro A della nota di trascrizione.

Al contrario, qualora si ritenga di procedere alla voltura catastale immediata in capo all’acquirente, non si dovrà evidenziare nel modello alcun differimento.

Mentre la scelta di differire la voltura catastale al momento dell’integrale pagamento del prezzo non richiede alcun commento, la soluzione della voltura catastale immediata necessita di approfondimento specialmente sotto il profilo del diritto che, effettuata la voltura, dovrà risultare in visura in capo all’acquirente.

L’approfondimento deve necessariamente partire dalla funzione del Catasto, individuata dal Testo Unico di cui al R.D. 8 ottobre 1931 n. 1572 nell’”accertare le proprietà degli immobili e nel perequare l’imposta fondiaria” e, quindi, essenzialmente nella rilevazione della proprietà immobiliare a fini fiscali.

Il Catasto, fino all’emanazione dell’Allegato n. 6 alla Circolare Agenzia del Territorio prot. 2755/2007, accettava, con il codice 63, l’intestazione “venditore con riserva della proprietà” dando rilevanza fiscale al contratto de quo anche in considerazione delle numerose legislazioni speciali che prevedevano il meccanismo della vendita rateale degli immobili, per lo più a destinazione agricola, con riserva della proprietà.

Con la citata circolare 2755/2007, in vista della unificazione delle banche dati immobiliari, attivata con l’Anagrafe Immobiliare Integrata, che “attesta, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati disponibili presso l’Agenzia del Territorio per ciascun immobile, individuando il soggetto titolare di diritti reali” disposta dal D.L. 31 maggio 2010 n. 78, è stata eliminata la rilevanza autonoma della riserva di proprietà in sede di intestazione catastale.

A seguito delle indicate modifiche, è oggi impossibile inserire nel quadro A del modello di trascrizione la riserva di proprietà come “patto aggiuntivo”, con la conseguenza che l’unica soluzione per dare evidenza della fattispecie è quella di utilizzare nel quadro A l’esistenza di una condizione e, nel quadro D, quella del patto di riservato dominio.

Non può volturarsi catastalmente in capo all’acquirente con riserva della proprietà il diritto pieno (e cioè il diritto di proprietà) in quanto non coincidente con il diritto acquistato che, al più, può dar vita, come sopra descritto, ad un “possesso titolato o qualificato”.

Rimane quindi a questo punto da approfondire quali diritti dovranno comparire, in seguito alla voltura immediata, in capo al venditore e in capo all’acquirente fino all’integrale pagamento del prezzo.
Una prima soluzione che emerge dalla ricerca è quella di una suddivisione tra diritto del proprietario e diritto dell’acquirente con riserva della proprietà. Trattasi, con tutta evidenza, di una forzatura che fa emergere una non perfetta coincidenza tra le risultanze dell’atto e quelle della visura catastale, ma che consente almeno di differenziare le posizioni dei soggetti, venditore e acquirente.
Altra soluzione rilevabile è quella di una evidenziazione della posizione dell’acquirente come “possessore”.

Aspetti fiscali

In riferimento ai profili fiscali è necessario esaminare le norme che espressamente contemplano il contratto in considerazione procedendo in primo luogo dal comparto delle imposte dirette. Degli aspetti fiscali della vendita con riserva della proprietà, infatti, se ne è occupato, in maniera approfondita, un importante studio del Consiglio Nazionale del Notariato del 2022.

Le imposte dirette

Con riferimento alle imposte dirette, occorre effettuare la seguente distinzione.

a) Reddito d’impresa: La fattispecie in esame trova espressa regolamentazione, ai fini fiscali, nell’art. 109 del TUIR, nell’ambito delle norme generali sulle componenti di reddito d’impresa, specificamente in relazione alle regole di imputazione a periodo. Sebbene il tema non sia strettamente d’interesse notarile, pare utile ricordare che ai sensi dell’art. 109, 2° comma lettera a): “ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa o successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale” con una espressa deroga in relazione ai contratti in questione, per i quali: “Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà”. La regola si dovrebbe riferire tanto ai beni merce quanto ai beni patrimoniali e contiene la disciplina applicabile sia al cedente che al cessionario;

b) Plusvalenze realizzate al di fuori del regime d’impresa: Ai fini delle imposte sul reddito il D.P.R. n. 917/1986, all’art. 67 lett. b) contempla fra i redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni. Il legislatore ha inteso assoggettare ad imposta sul reddito le operazioni di cessione della “proprietà” o di “diritti reali” (art. 9, comma 5 TUIR) anche se occasionali, che presentano carattere speculativo secondo una presunzione legale “iuris et de iure” che ricollega la tassazione della plusvalenza ad un intervallo temporale inferiore al quinquennio tra acquisto e rivendita della proprietà o del diritto reale sul bene immobile. In sostanza, costituisce un reddito diverso la plusvalenza realizzata mediante cessione a titolo oneroso di immobili, da parte di soggetti privati. Nel caso di alienazione di terreni edificabili, la plusvalenza è imponibile in ogni caso, mentre, per gli altri immobili, non si realizza ove il fabbricato, oggetto della cessione, sia stato acquisito dal cedente per successione, oppure sia stato adibito ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, per la maggior parte del periodo in cui ne è stato proprietario; oppure, infine, se tra l’acquisto o la costruzione e la cessione dell’immobile siano trascorsi cinque anni.

Il problema dell’individuazione del dies a quo per il computo del quinquennio si è posto in maniera particolare in presenza di clausole contrattuali della specie qui in considerazione che comportano una dissociazione tra il momento in cui avviene la consegna del bene – all’atto stesso della conclusione del contratto di vendita, con contestuale assunzione per il compratore dei rischi afferenti al perimento della cosa – e il momento in cui si verifica l’effetto traslativo.

La mancanza di una espressa disciplina sul punto con riferimento alle plusvalenze immobiliari ha indotto a chiedersi se si potesse applicare, in via estensiva, quanto prescritto per i redditi di impresa ovvero se, per la produzione dei redditi diversi, occorresse aver riguardo al momento in cui si verifica, sul piano sostanziale, il trasferimento del diritto di proprietà. A livello normativo l’art. 67 lett. b) fa riferimento, per il computo del quinquennio, all’atto della “cessione” dell’immobile. In assenza di una previsione simile a quella di cui all’art. 109 del TUIR, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto necessario individuare la decorrenza dei cinque di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR, a partire dal momento in cui si verifica l’effetto traslativo, non avendo rilevanza alcuna, a tal fine, il momento di stipula dell’atto di compravendita con riserva della proprietà.

Anche la giurisprudenza prevalente, compresa quella della Cassazione, sostiene che il dies a quo da cui far decorrere il quinquennio coincide con il momento in cui si realizza l’effetto traslativo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo. E’ utile osservare che, così ragionando, non risulterà mai plusvalente la vendita con riserva della proprietà, conclusa durante i cinque anni successivi all’acquisto del bene venduto, nella quale sia stabilita la scadenza dell’ultima rata, e quindi l’effetto traslativo, dopo il decorso dei cinque anni dalla data di acquisto. In tal caso infatti il trasferimento oneroso si verificherà in un momento nel quale, per espressa disposizione normativa, non potrà più valere come fatto generatore di plusvalenze immobiliari, essendo a quella data già decorso il quinquennio esentativo.

Occorre, infine, distinguere tra la cessione del diritto reale che sorge in testa al compratore (che evidentemente può essere trasferito tramite la cessione del contratto) dalla cessione del bene immobile, la cui titolarità da parte del compratore come pieno proprietario si acquista con il pagamento dell’ultima rata di prezzo: oggetto del trasferimento a titolo oneroso, infatti, non è necessariamente il diritto di proprietà sul bene, potendo invero determinare plusvalenze imponibili anche gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento. In definitiva l’acquirente con riserva della proprietà può cedere:
1) la propria posizione contrattuale prima dell’integrale pagamento del prezzo. In questa ipotesi la cessione è suscettibile di generare plusvalenza e il termine quinquennale decorrerà dalla stipula dell’atto di compravendita con riserva delle proprietà. Ai fini dell’individuazione dei parametri per il calcolo dell’eventuale plusvalenza, fare riferimento, in tali casi, al prezzo corrisposto al venditore con riserva della proprietà fino al momento della cessione del contratto da parte dell’acquirente e il corrispettivo conseguito per l’acquisto del particolare diritto reale, proprio dell’acquirente con clausola di riservato dominio;
2) il diritto di proprietà piena acquistato per effetto dell’integrale pagamento del prezzo. In tale caso il quinquennio decorrerà, evidentemente, dal momento in cui si verifica l’effetto traslativo e i parametri per il calcolo dell’eventuale plusvalenza saranno quelli ordinariamente applicabili;

c) Riserva della proprietà e imputazione dei redditi fondiari: Per l’imputazione dei redditi fondiari vale la previsione di cui all’art. 26, D.P.R. del TUIR secondo la quale questi redditi “concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’art. 33, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”;

d) Il soggetto passivo dell’IMU nell’ipotesi di vendita con riserva della proprietà: Attualmente, il tributo IMU (Imposta Municipale Propria) è disciplinato dall’art. 1, commi da 739 a 783 della L. n. 160/2019 (Legge di bilancio 2020) che ha istituito la “nuova” IMU. L’art. 1, comma 740, della predetta legge ribadisce che «Il presupposto dell’imposta è il possesso di immobili» e il successivo comma 743 riconduce il possesso alla titolarità del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento; in particolare, il primo periodo della richiamata disposizione stabilisce che «i soggetti passivi dell’imposta sono i possessori di immobili, intendendosi per tali il proprietario ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi….Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, il soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.» Quest’ultima previsione, che individua i soggetti passivi, è stata intesa come conferma dell’indirizzo prevalente nel vigore della precedente disciplina che vedeva nella titolarità del diritto reale l’effettivo presupposto dell’imposta. Tale nuova formulazione, in altri termini, pur nella sua non linearità, avrebbe la funzione di comporre il contrasto sorto in dottrina ed in giurisprudenza in merito alla nozione di possesso.

L’imposta municipale sostituisce l’IRPEF e le relative addizionali comunali e regionali, con riferimento al reddito fondiario degli immobili non locati. La previsione è contenuta nell’art. 8, comma 1, D. Lgs. n. 23/2011, che è rimasto in vigore anche dopo la novella della Legge di bilancio 2020. L’effetto sostitutivo dell’IMU rispetto all’IRPEF secondo alcuni si spiegherebbe in ragione dell’identica soggettività passiva ai fini dei due tributi. Per entrambe le fattispecie, infatti, l’imputazione avviene in capo al titolare del diritto di proprietà ovvero di un diritto reale di godimento. Ciò ha consentito di far coincidere tendenzialmente il contribuente gravato dal tributo comunale con quello onerato degli obblighi IRPEF. L’indirizzo per cui soggetto passivo dell’imposta municipale propria, anche nell’ipotesi della vendita con riserva della proprietà, è il titolare del diritto di proprietà è stato in effetti accolto nella prassi più recente. È sembrato naturale individuare nel venditore il soggetto passivo, poiché questi rimane proprietario dell’immobile sino al pagamento dell’ultima rata da parte del futuro acquirente. Questa impostazione è avallata da una parte della giurisprudenza e dalla dottrina.

Un’ulteriore teoria sostiene, invece, che la posizione dell’acquirente nel caso di vendita con riserva di proprietà sarebbe assimilabile a quelle riconducibili ai soggetti passivi espressamente menzionati dalla previsione IMU con riferimento agli immobili concessi in “leasing”. In questa prospettiva si colloca, in particolare, la Cassazione con la sentenza 17 luglio 2019, n. 19166 che, nel caso di immobile concesso in “leasing”, ha individuato il soggetto passivo dell’imposta, ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 23 del 2011 nell’utilizzatore, essendo a costui attribuiti in via esclusiva dal contratto i benefici, gli obblighi e gli oneri normalmente spettanti al proprietario del bene. L’utilizzatore di beni in leasing, espressamente individuato quale soggetto passivo IMU dalla legge, rivestirebbe una posizione giuridica del tutto assimilabile a quella del proprietario, esercitando i diritti tipicamente spettanti al titolare del diritto di proprietà ed assumendo i correlati rischi ed obblighi. In considerazione di tale particolare posizione rispetto all’immobile che rende l’utilizzatore un “quasi proprietario”, dunque, il legislatore tributario lo avrebbe conseguentemente indicato quale soggetto passivo dell’IMU e sarebbe da intendersi tale sino al momento della riconsegna del bene, perché è solo in quel momento che cessa il rapporto di dominio/responsabilità sul bene immobile. L’identificazione del soggetto passivo nell’utilizzatore nel caso di leasing dovrebbe intendersi, dunque, non quale eccezione, ma come ulteriore specificazione della regola generale che definisce il presupposto. La dottrina pare infatti affermare, come abbiamo visto, che tutte le norme che individuano i soggetti passivi concorrono alla definizione del presupposto. In ragione di ciò il possesso ai fini IMU verrebbe integrato non solo ove ricorrano i diritti espressamente menzionati, ma anche nel caso in cui sussista la situazione giuridica soggettiva che la Cassazione definisce quale “detenzione qualificata”, riferendosi al complesso di poteri relativi anche alle altre categorie di possessori. Questa prospettiva sembrerebbe peraltro coerente con l’impostazione adottata dalla Corte Costituzionale in merito al presupposto del tributo patrimoniale di cui l’IMU costituisce evoluzione, ossia l’ICI. In una sentenza si afferma che tale tributo non colpisce solo i proprietari «ma, più in generale coloro che, avendo il godimento del bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività gestionali dei comuni». Seguendo quest’ordine d’idee, si potrebbe ipotizzare che la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’acquirente con riserva della proprietà sia idonea a realizzare il presupposto del tributo: tale soggetto, infatti, durante il periodo di rateizzazione del prezzo sarebbe titolare di un vero e proprio diritto reale di godimento.

 Date le varie teorie sul soggetto tenuto al pagamento dell’IMU, si consiglia di inserire nel contratto di vendita con riserva della proprietà delle clausole contrattuali volte a spostare l’onere del tributo. Vi è infatti la possibilità di regolamentare il pagamento dell’IMU in sede negoziale, ove si ritenga (prudenzialmente) che il soggetto passivo del tributo non sia l’acquirente.

Imposte indirette

Anche tra le imposte indirette occorre prevedere una distinzione.

a) L’imposta di registro: Per le imposte di trasferimento il contratto di vendita con riserva di proprietà è tassato fin dall’origine con l’imposizione che sarebbe ordinariamente applicabile se il contratto non recasse la clausola di riserva. Ai fini dell’imposta di registro, infatti, “non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva della proprietà e gli atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente o del creditore” (art. 27, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Conseguentemente il contratto in questione deve essere registrato con l’applicazione dell’imposta proporzionale già al momento della stipula. Questa impostazione consente di sostenere più agevolmente che la tassazione non debba avvenire in ragione di una pur fittizia “retrocessione” del bene in caso di risoluzione del contratto qui in questione, come sostiene la giurisprudenza più recente, poiché in origine non si produce e non è tassato alcun effetto traslativo, neppure fittizio;

b) Agevolazione acquisto prima casa: Per l’applicazione al contratto di vendita con riserva di proprietà dell’agevolazione c.d. “prima casa”, in considerazione dell’immediata tassazione ricevuta da tale contratto al momento della sua stipula, emerge la necessità che sussistano in quel momento tutti i presupposti richiesti dalla legge ai fini dell’ottenimento del beneficio e vengano rese le prescritte dichiarazioni. Inoltre, secondo le disposizioni di cui alla nota II bis dell’art. 1 tariffa, parte prima allegata al DPR 131/1986, l’agevolazione c.d. “prima casa” si applica agli atti traslativi delle case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, o agli atti costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, uso o abitazione relativi alle stesse, a condizione che gli immobili trasferiti siano ubicati nel comune di residenza o di svolgimento dell’attività dell’acquirente. Il comma 4 della nota II bis menzionata prevede, inoltre, la decadenza dall’agevolazione in discussione nel caso di dichiarazione mendace in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione del beneficio, ovvero nel caso di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili agevolati prima del decorso del termine di cinque anni dal loro acquisto. Con l’introduzione del comma 4 bis, l’aliquota agevolata “si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione, all’atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4”;

c) Cessione infraquinquennale, computo del quinquennio e riacquisto di immobile con riserva della proprietà: Per evitare la decadenza dal regime agevolato, secondo le regole generali, è necessario:
a) acquistare (a titolo gratuito o oneroso) un nuovo immobile entro un anno dalla rivendita;
b) adibire tale immobile ad abitazione principale entro tre anni dall’acquisto.

Nel caso in esame, si pongono i seguenti problemi nell’ipotesi di rivendita infraquinquennale:
1) da quando debba computarsi l’anno per il riacquisto ove la cessione avvenga con riserva della proprietà;
2) se sia possibile l’attuazione dell’onere che è imposto al contribuente per il mantenimento dell’agevolazione stipulando un contratto di vendita con riserva della proprietà.

La prima questione è stata affrontata dall’amministrazione finanziaria in una recente risposta a interpello (n. 409 del 24 settembre 2020). L’istante poneva il dubbio se la decorrenza dell’anno solare entro il quale addivenire al riacquisto di altro immobile da destinare ad abitazione principale, dovesse computarsi dalla data della stipula dell’atto notarile di vendita ovvero dal momento di realizzazione dell’effetto traslativo. L’interpellante osservava che la norma fiscale di riferimento utilizza il termine “trasferimento” e tale effetto nella vendita con riserva della proprietà avviene solo al pagamento dell’ultima rata del prezzo, inoltre in tale momento la parte venditrice viene in possesso della somma necessaria per un nuovo acquisto. L’agenzia delle Entrate ha invece ritenuto che il termine annuale per “sanare” la decadenza tramite il riacquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale deve conteggiarsi dalla data dell’atto di compravendita ricevuto dal notaio.

La disciplina dell’imposta di registro afferman che «per tale tipologia di atto di vendita si deve ritenere che l’effetto traslativo si verifichi immediatamente, sicché l’imposta di registro deve essere corrisposta in misura proporzionale, al momento della registrazione dell’atto». Si è visto infatti che la previsione di cui all’art. 27, comma 3 del TUR pone al più un’equiparazione tra fattispecie ai fini impositivi in ragione delle peculiarità del contratto di vendita con riserva della proprietà, non già un’anticipazione degli effetti traslativi di tale atto. L’individuazione della decorrenza del termine in questione al momento della stipula, dunque, risponde più che altro a ragioni di coerenza e simmetria rispetto a quella equiparazione. Il mancato rispetto del termine sin qui esaminato provoca la decadenza dal beneficio prima casa e, secondo l’amministrazione finanziaria, anche la decadenza dalle agevolazioni fiscali relative alle imposte sostitutive sul mutuo.

Quanto alla seconda questione, è un dato pacifico che il contratto in esame abbia effetti traslativi, sebbene questi ultimi siano differiti al momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo. Ciò rende sicuramente differente l’ipotesi in cui il riacquisto avvenga tramite lo strumento contrattuale appena menzionato da quella in cui, effettuata la rivendita infraquinquennale del bene agevolato, si stipuli entro l’anno solo un contratto preliminare. La stipula del preliminare, infatti, non dà luogo ad alcun effetto traslativo e non è quindi idonea ad integrare i presupposti per “sanare” la decadenza.

L’immobile riacquistato, inoltre, deve essere effettivamente utilizzato come abitazione principale, ma è sufficiente che tale utilizzo avvenga di fatto, indipendentemente, dunque, dal titolo in base al quale la destinazione viene effettuata. Pertanto, la verifica in ordine alla circostanza ritenuta idonea ad evitare la decadenza dovrebbe essere realizzata in concreto e, quindi, solo nel caso in cui venga accertato che il contribuente non abbia dato attuazione al proposito abitativo, l’ufficio potrà recuperare le maggiori imposte e le eventuali sanzioni e interessi dovuti a seguito di decadenza dal beneficio in discussione. La possibilità di utilizzare e di godere del bene già dal momento in cui il contratto viene stipulato è insita, peraltro, nel contratto di cui qui si discute. È pacifico che la funzione della vendita con riserva di proprietà sia quella di consentire un immediato godimento del bene, pur non essendo effettuato un pagamento totale del prezzo.

Si può dunque affermare il mantenimento dell’agevolazione in capo al soggetto che, effettuata la rivendita infraquinquennale, stipuli, entro un anno da tale vendita, un contratto di acquisto con riserva di proprietà, adibendo l’immobile a sua abitazione principale;

d) Cessione d’immobile con riserva della proprietà, acquisto di nuovo immobile con l’agevolazione prima casa e reiterazione del beneficio: come si è ricordato, in forza della disposizione contenuta nella nota II bis all’art.1 della tariffa, parte I, allegata al DPR 131/1986, l’agevolazione prima casa non può essere richiesta su più immobili, a meno che il contribuente già titolare di un immobile agevolato lo alieni prima del nuovo acquisto con il beneficio o entro un anno dall’acquisto stesso avvalendosi della norma di cui al comma 4bis.

Ove venga utilizzato lo schema contrattuale della vendita con riserva di proprietà l’alienante non trasferirebbe immediatamente il diritto di proprietà cosicché all’atto del nuovo acquisto risulterebbe ancora proprietario della precedente “prima casa”. Anche in relazione a questa ipotesi, sulla base delle medesime argomentazioni esposte nel precedente paragrafo, si ammette che il contribuente possa conservare l’agevolazione sul secondo acquisto agevolato alienando, con un contratto di vendita con riserva della proprietà stipulato entro un anno dal secondo acquisto, il primo immobile agevolato.

Infatti, durante il periodo di pagamento delle rate, il venditore, nonostante egli sia, sotto il profilo civilistico, ancora titolare del bene oggetto del contratto di vendita con riserva di proprietà, è da considerare fiscalmente non più titolare del diritto oggetto del contratto di vendita con riserva di proprietà (in quanto fatto oggetto di alienazione sotto il profilo fiscale, essendo stata assolta per la stipula di quel contratto una imposta di trasferimento). Il venditore può, dunque, legittimamente rendere, ove compia l’acquisto di una abitazione, la dichiarazione di “impossidenza” richiesta dalla legge sull’agevolazione “prima casa” quale presupposto per la concessione dell’agevolazione stessa.
Inoltre, pare corretto sottolineare la circostanza che già dal momento della stipula del contratto l’alienante si priva della facoltà di godere del bene e di utilizzarlo a vantaggio dell’acquirente, ancorché l’effettivo trasferimento avverrà in un momento successivo. L’alienante, infatti, nel momento in cui cede l’immobile acquistato con l’agevolazione, non potrà utilizzarlo come prima casa e tale circostanza risulta rilevante per il riconoscimento del nuovo beneficio ove si consideri che la giurisprudenza continua a collegare la ratio del regime premiale all’esigenza di soddisfare le necessità abitative dell’acquirente;

e) Imposta sul valore aggiunto: Anche ai fini Iva la vendita con riserva di proprietà si considera effettuata al momento della stipula. L’art. 6 del d.p.r. 633/1972 dispone al riguardo che le cessioni di beni immobili si considerano generalmente effettuate alla data dell’atto, salvo le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente che si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti. La regola appena indicata, più che derivare da ragioni di cautela fiscale, secondo alcuni è una naturale conseguenza della definizione europea di “cessione di beni”. L’art. 14 della Direttiva 2006/112/CE definisce le cessioni di beni come “il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”. Tale potere dispositivo, nella vendita con riserva di proprietà, può manifestarsi a partire dalla stipula dell’atto di compravendita. La vendita con riserva della proprietà è, dunque, imponibile all’atto della stipula e ciò implica la necessità di fatturare l’intero importo del corrispettivo a quella data;

f) Cessione del contratto: Nel caso di cessione che abbia ad oggetto un contratto di compravendita di un immobile con riserva di proprietà ci si è chiesti quale sia la sorte della vicenda intercorsa tra l’originaria parte acquirente e l’alienante tanto in relazione all’applicazione del tributo qui in esame, quanto in relazione alla decadenza dall’agevolazione c.d. “prima casa”. In ordine alla prima questione è parso ragionevole ritenere che, ai fini fiscali, il rapporto tra l’originaria parte acquirente e l’alienante si definisca al momento della stipula del contratto. In tale momento, infatti, deve avvenire la fatturazione dell’intero corrispettivo con l’applicazione dell’IVA. Irrilevante, dunque, sotto il profilo IVA dovrebbe considerarsi l’adempimento (con il pagamento dell’ultima rata del prezzo) effettuato dal cessionario che subentra nella stessa posizione contrattuale che era del cedente. Conseguentemente al momento della cessione del contratto nessun obbligo, ai fini IVA, dovrebbe gravare sull’alienante, a cui è richiesta unicamente la prestazione del consenso ai fini della cessione stessa. L’atto di cessione del contratto, ove avvenga tra due soggetti che non esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo, importa l’applicazione della disciplina del tributo di registro ai sensi dell’art. 31 del DPR 131/1986, a fronte del quale la cessione del contratto è soggetta all’imposta con l’aliquota propria del contratto ceduto. Se il contratto ceduto è una vendita con riserva di proprietà dovrà essere assoggettato a tassazione anche l’atto di cessione tenendo presente l’art. 27 comma 3, del menzionato decreto in forza del quale le vendite con riserva di proprietà scontano il tributo di registro al momento della stipula e non al momento in cui si verificherà l’effetto traslativo;

g) Imposta sulle successioni e sulle donazioni: Il testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni non prevede una specifica regolamentazione del contratto di vendita con riserva della proprietà e, dunque, del caso in cui, pendente il rapporto e ove la proprietà non sia stata ancora trasferita, vengano a mancare il compratore o il venditore.

Secondo il Ministero delle Finanze (14/12/1976 n. 272755) non può prescindersi dalla considerazione degli effetti civilistici della vendita con riserva della proprietà e pertanto, nel caso di morte del compratore, in successione cadrà unicamente un diritto di credito corrispondente all’importo delle rate versate dal de cuius. In caso di morte del venditore, al contrario, andrebbe dichiarato il diritto di proprietà del bene venduto. In questo senso si è espresso anche uno studio della commissione tributaria del Consiglio Nazionale del Notariato (58/2003/T), parte della dottrina e della giurisprudenza (Cassazione, 28 aprile 2016, n. 8467, sez. II). La tesi dottrinale, in particolare, fa leva sulla non applicabilità per via analogica delle norme dettate dal legislatore fiscale in materia di tassazione della vendita con riserva della proprietà in quanto di carattere eccezionale.

Altri autori, al contrario, ritengono che per mantenere l’organicità del sistema sarebbe preferibile applicare il principio dell’immediata trasferibilità fiscale con la conseguenza che, in caso di morte dell’acquirente, nel suo asse ereditario ricadrebbe l’immobile mentre nel caso di morte del venditore ricadrebbe il credito residuo costituito dalle rate del prezzo ancora da versare. Quest’ultimo orientamento è fruttodell’opera di alcuni autori i quali sostengono che la normativa in materia di imposta di registro (che nel caso di specie porta all’immediata tassazione dell’atto) non è solo peculiare di detta imposta, ma è espressione di un principio generale in materia tributaria; tale principio generale sarebbe dunque da applicare anche in materia di imposta di successione in presenza di una lacuna normativa.
Dal punto di vista fiscale, come sopra accennato, è disposto che la vendita con riserva di proprietà si reputa immediatamente traslativa della proprietà (l’articolo 27, comma 3, TUR). Conseguentemente (se, in via eccezionale, è la stipula del contratto e non il trasferimento della proprietà a integrare l’elemento fiscalmente rilevante), anche ai fini dell’imposta di successione, il bene in questione dovrebbe essere considerato parte del patrimonio dell’acquirente (avendo questi già assolto alla occorrente tassazione), ancorché non sia stata da costui pagata l’ultima rata di prezzo.
Di conseguenza, accogliendo tale ultima tesi, in caso di morte del compratore cadrebbe in successione, a fini fiscali, la proprietà dell’immobile con la possibilità di portare in deduzione nel passivo ereditario le rate ancora da pagare. Nel caso di morte del venditore in successione cadrebbe il credito residuo al pagamento del prezzo. Il compratore, infatti, con la vendita con patto di riservato dominio acquista un diritto di godimento di natura reale, che è possibile valorizzare come componente dell’attivo ereditario a fini fiscali (art. 9, c. 1, T.U.S.), inserendo, altresì, nelle passività i debiti contratti per il suo acquisto.

Risoluzione per inadempimento

Nel caso in cui l’acquirente non adempie al pagamento del prezzo della vendita, l’art. 1525 codice civile prevede un limite minimo per la valutazione della gravità del medesimo, nonché, una sanzione di nullità della clausola risolutiva espressa che attribuisce rilevanza ad un inadempimento inferiore al predetto limite.

Il testo normativo dispone che: “nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive”.

L’art. 1526 codice civile prevede, altresì, la nullità delle clausole che, nel regolare le ipotesi di inadempimento, sfruttano lo stato di bisogno dell’acquirente: “se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquistata al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti
”.