Introduzione
L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha inciso in modo profondo e duraturo su molteplici aspetti della nostra società e, tra questi, anche sul diritto societario italiano, accelerando un processo di digitalizzazione che, fino ad allora, procedeva con lentezza.
Tra i principali ambiti coinvolti, vi è senz’altro quello delle modalità di svolgimento delle assemblee societarie, che, nel contesto emergenziale, hanno conosciuto una profonda revisione delle disposizioni normative, finalizzata a garantire la continuità della governance societaria pur in assenza di possibilità di riunione fisica.
Nel corso del triennio pandemico, il legislatore è infatti intervenuto con norme straordinarie che hanno legittimato, anche in assenza di apposita clausola statutaria, lo svolgimento delle assemblee mediante mezzi di telecomunicazione. Tali misure, inizialmente temporanee, hanno riacceso l’interesse degli interpreti e degli operatori sull’opportunità (e sulla necessità) di adeguare la disciplina codicistica ordinaria alla prassi sempre più diffusa dell’assemblea “a distanza”.
Oggi, venute meno le norme emergenziali, la questione torna a essere regolata dalle disposizioni ordinarie del Codice civile, che tuttavia non sempre appaiono sufficientemente chiare né adeguate rispetto all’evoluzione tecnologica e operativa delle società. In questo contesto, è utile ripercorrere la disciplina previgente, analizzare il contenuto delle deroghe introdotte dal cosiddetto decreto “Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18) e fare il punto sulle interpretazioni dottrinali più rilevanti circa la validità e legittimità delle assemblee telematiche, anche alla luce delle prassi notarili medio tempore consolidate.
La disciplina codicistica prima dell’emergenza sanitaria
Prima dell’intervento del legislatore emergenziale, la possibilità di svolgere assemblee societarie in videoconferenza era già contemplata, seppure in modo parziale, all’interno del Codice civile. Le norme di riferimento erano, in particolare, gli artt. 2370, comma 4, per le società per azioni, e 2479-bis per le società a responsabilità limitata, del Codice civile.
Tali disposizioni, nel solco di una generale apertura del legislatore alla tecnologia, consentivano, da un lato, l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione e, dall’altro lato, l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica.
Tuttavia, queste l’esercizio di facoltà era subordinato a una precisa condizione: la presenza di una clausola statutaria che ne prevedesse espressamente la possibilità. In assenza di una simile previsione, l’assemblea doveva svolgersi secondo le forme tradizionali, con la presenza fisica di tutti i partecipanti presso il luogo indicato nell’avviso di convocazione.
La giurisprudenza e la prassi notarile avevano, tra l’altro, chiarito che, anche qualora fosse ammesso l’intervento a distanza dei soci, il luogo di convocazione dell’assemblea doveva comunque essere fisicamente identificabile, e il presidente dell’assemblea, nonché il notaio verbalizzante (ove previsto), dovevano essere presenti fisicamente nel medesimo luogo. Solo in tal modo, infatti, si riteneva garantita la regolarità della verbalizzazione e la possibilità di verificare l’identità e la legittimazione dei partecipanti.
Da ciò derivava una visione sostanzialmente conservatrice del diritto societario in tema di assemblee: la partecipazione da remoto era sì consentita, ma solo in quanto eccezione statutaria e comunque a condizione che il nucleo “formale” dell’assemblea (presidenza, verbalizzazione) si svolgesse comunque in presenza.
Le deroghe introdotte dal cosiddetto Decreto “Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18)
L’irrompere della pandemia nel marzo 2020 ha reso evidente l’arretratezza ed inadeguatezza del quadro normativo tradizionale, come sopra sintetizzato. Invero, l’impossibilità di svolgere riunioni fisiche, a causa delle misure di distanziamento e lockdown, ha determinato la necessità di introdurre misure straordinarie che permettessero lo svolgimento delle assemblee anche in assenza di una clausola statutaria autorizzativa.
In tale contesto, il legislatore è intervenuto con il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, cosiddetto Decreto “Cura Italia”, introducendo, agli artt. 73 e 106, disposizioni di deroga alla normativa codicistica destinate a incidere profondamente sulla disciplina ordinaria.
L’art. 73 ha previsto, per tutte le pubbliche amministrazioni e gli enti di diritto pubblico, la possibilità di ricorrere a strumenti di videoconferenza per lo svolgimento delle sedute collegiali, anche senza la presenza fisica dei partecipanti. L’art. 106, invece, ha esteso il medesimo principio al diritto societario privato, stabilendo che, con l’avviso di convocazione, le società potessero prevedere: “anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione; le predette società possono altresì prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione”. Questa disposizione ha rappresentato una cesura netta rispetto al regime ordinario: per la prima volta, veniva consentito, a prescindere dallo statuto, lo svolgimento di un’assemblea integralmente telematica, in cui nessun partecipante – nemmeno presidente e notaio verbalizzante – fosse fisicamente presente in un luogo comune.
Nel corso della vigenza dell’art. 106, prorogato più volte fino alla cessazione dello stato di emergenza, le assemblee in videoconferenza si sono diffuse capillarmente, divenendo lo standard operativo per gran parte delle società. La norma, nella sua formulazione ampia, non poneva particolari condizioni formali, né richiedeva l’individuazione di una “sede fisica fittizia” dell’assemblea.
La dottrina, in larga parte, ha accolto con favore l’intervento emergenziale, sottolineando come esso rappresentasse un’opportunità per testare la fattibilità operativa e giuridica delle assemblee a distanza, e auspicando una riforma strutturale in tal senso. Tuttavia, la natura eccezionale della norma ha sempre sollevato dubbi sulla sua tenuta nel lungo periodo.
In particolare, il Consiglio Notarile di Milano, con Massima n. 187 (11 marzo 2020) aveva affermato in modo netto la necessità di introduzione di apposite clausole statutarie, nonché l’imprescindibilità della presenza almeno del presidente e del notaio verbalizzante nel luogo fisico in cui l’assemblea è stata convocata.
Tuttavia, lo stesso Consiglio Notarile di Milano, tornando a pronunciarsi sul tema delle assemblee in videoconferenza, con Massima n. 200 (23 novembre 2021), ha affermato il principio diametralmente opposto, secondo cui “sono legittime le clausole statutarie di s.p.a. e di s.r.l. che, nel consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, ai sensi dell’art. 2370, comma 4, c.c., attribuiscono espressamente all’organo amministrativo la facoltà di stabilire nell’avviso di convocazione che l’assemblea si tenga esclusivamente mediante mezzi di telecomunicazione, omettendo l’indicazione del luogo fisico di svolgimento della riunione”.
La fase post-emergenziale
Con il venir meno della disciplina emergenziale in data 31 dicembre 2024, ed in assenza di un intervento normativo strutturale, il sistema è tornato a essere regolato dalle norme codicistiche originarie. La possibilità di svolgere assemblee in videoconferenza dovrebbe quindi essere tornata a dipendere dalla presenza di una specifica clausola statutaria.
L’esperienza pandemica ha però lasciato un segno profondo nella dottrina notarile e nella prassi operativa.
In primo luogo, molte società hanno deciso, negli ultimi anni, di modificare lo statuto, introducendo espressamente la possibilità di convocare e svolgere assemblee interamente in modalità telematica. In particolare, le clausole più diffuse prevedono:
- l’intervento in assemblea esclusivamente mediante mezzi di telecomunicazione, senza l’indicazione di un luogo fisico di convocazione;
- l’indicazione, nell’avviso di convocazione, delle piattaforme e modalità tecniche necessarie per collegarsi;
- la possibilità per il presidente e il segretario (o notaio) di partecipare anch’essi da remoto, fermo restando l’obbligo di garantire la continuità audio-video, con modalità tali da garantire l’identificazione dei partecipanti.
Tuttavia, non tutte le società hanno aggiornato i propri statuti. In questi casi, permangono incertezze interpretative circa la validità delle assemblee convocate in modalità integralmente telematica. In altri termini, una volta venuta meno l’efficacia del Decreto Cura Italia, ci si chiede se la presenza dell’apposita clausola statutaria sia ancora da considerarsi indispensabile, oppure se la possibilità di convocare assemblee in videoconferenza debba ormai considerarsi espressione di un principio generale, dunque ammissibile anche in assenza di specifica previsione dello statuto.
Secondo una parte della dottrina, invero, la convocazione che omette il riferimento a un luogo fisico, in assenza di clausola statutaria, potrebbe ritenersi “difforme” rispetto alle modalità previste dal Codice civile. Tale difformità renderebbe la convocazione irregolare, esponendo le deliberazioni a impugnazione, a meno che:
- non ricorrano tutti i presupposti per la costituzione dell’assemblea in forma totalitaria, oppure
- si accerti un comportamento concludente dei soci tale da sanare la difformità.
Conclusioni: verso una nuova disciplina delle assemblee “a distanza”?
Invero, come già segnalato, l’esperienza dell’emergenza sanitaria ha dimostrato che le assemblee in videoconferenza sono non solo tecnicamente praticabili, ma anche efficaci sotto il profilo giuridico e organizzativo. Il ricorso alla modalità telematica ha favorito la partecipazione, ridotto i costi e semplificato le procedure, senza compromettere – salvo casi patologici – la regolarità del processo deliberativo.
Tuttavia, l’attuale disciplina codicistica si presenta inadeguata rispetto alla nuova realtà operativa. La subordinazione alla clausola statutaria, il formalismo della convocazione, la rigidità del luogo fisico dell’assemblea, sono tutti elementi che rischiano di entrare in contrasto con le esigenze di flessibilità e modernizzazione del diritto societario.
In assenza di una riforma organica, è fondamentale che gli operatori, e in particolare i notai, mantengano un approccio coerente e attento alla legalità formale, ma al tempo stesso funzionale alle esigenze delle imprese, sicuramente consigliando alle Società di inserire nei propri statuti apposite clausole che disciplinino il tema delle assemblee in videoconferenza. È auspicabile, inoltre, che le società si attivino per aggiornare i propri statuti, inserendo clausole chiare e dettagliate che consentano la convocazione e lo svolgimento dell’assemblea anche in via esclusivamente telematica, prevedendo garanzie minime di identificazione, tracciabilità e continuità della comunicazione.
In definitiva, la sfida non è più quella di “se” sia possibile svolgere assemblee da remoto, ma “come” rendere questa possibilità giuridicamente solida, uniforme e sostenibile nel tempo.