Evoluzione dottrinale
Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, l’art. 692, comma 4, codice civile proibiva espressamente al testatore di inserire una clausola nel testamento con la quale vietava all’erede o al legatario di disporre di quanto ricevuto per successione, vuoi per atto tra vivi vuoi mortis causa. Una clausola in contravvenzione a tale divieto era dunque nulla e, pertanto, non era ammissibile una siffatta disposizione. La riforma del 1975, che ha introdotto nel menzionato articolo 692 codice civile il fedecommesso assistenziale, ha soppresso il menzionato comma 4, aprendo quindi il dibattito sul se fosse divenuto ammissibile – per effetto della menzionata soppressione – il divieto testamentario di alienare.
Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali
Sul punto si sono sostanzialmente formati tre orientamenti:
1. Per una prima tesi, la soppressione del menzionato quarto comma non ha fatto venire meno il divieto testamentario di alienare, in quanto deve ritenersi implicito nell’art. 692 codice civile allorché dispone che “in ogni altro caso la sostituzione [fedecommissaria] è nulla”. Infatti, si ritiene che, proibendo all’erede o legatario di alienare, vi sia comunque una sostituzione fedecommissaria che pure è limitata solo all’obbligo di conservare. Il divieto sarebbe ancora attuale quindi e la relativa clausola nulla.
2. Per una seconda tesi, che sembra dominante, la soppressione dell’art. 692, comma 4 codice civile ha provocato il venire meno del divieto. La disciplina del divieto di alienazione è allora regolata – per analogia – dall’art. 1379 codice civile, che permette il divieto di alienare purché entro certi limiti di tempo e perché rispondente ad un apprezzabile interesse. Aderendo a questa tesi, la clausola che vieta l’alienazione è valida, purché il testatore ne abbia limitato temporalmente l’efficacia in termini convenienti, e purché il divieto soddisfi un apprezzabile interesse. Si ricorda che una siffatta clausola ha efficacia meramente obbligatoria: se l’erede o legatario aliena quanto ricevuto, il trasferimento è valido ed efficace, solo l’erede/legatario risponderà dei danni.
3. Infine, una terza tesi ritiene che la soppressione del comma in parola abbia determinato una assoluta libertà per il testatore di vietare l’alienazione dei cespiti ereditari. Ciò in quanto il divieto di alienazione è un peso che può – in assenza di divieto specifico -liberamente essere apposto sulle disposizioni testamentarie, alle quali non sarebbe applicabile l’art. 1379 codice civile, perché relativo ai contratti e che pertanto sfugge al richiamo dell’art. 1324 codice civile. Per l’effetto, il testatore potrebbe vietare tout court la disposizione dei cespiti ereditari.
Si segnala infine che, se il testatore ha semplicemente indicato come suo desiderio la non alienazione del bene relitto, verosimilmente ci si troverà davanti ad una mera raccomandazione, priva di valore cogente. Se invece la disposizione è formulata nel preciso senso di rendere un divieto ad alienare, allora la disposizione deve intendersi come modale, dalla quale discendono effetti obbligatori. Nulla vieta, peraltro, che la disposizione venga formulata come una condizione potestativa risolutiva, nel senso che – qualora l’erede o legatario venda il cespite violando il divieto – la disposizione attributiva si debba intendere risolta. Pertanto, la clausola testamentaria che vieta l’alienazione ereditaria ha efficacia meramente obbligatoria, nel senso che non si estende ai terzi acquirenti i quali – pur in presenza del divieto – faranno salvo il proprio acquisto, non perdendolo per effetto della violazione da parte dell’erede o del legatario. Il titolare dell’interesse a far valere l’efficacia della clausola potrà chiedere la corresponsione dei danni, ma non l’invalidità dell’atto dispositivo.
Intervento della Cassazione recente
Un’importante svolta sulla validità o meno del divieto di alienazione imposto per testamento è rappresentata dall’ordinanza della Cassazione n. 23616 del 2023, la quale è tornata a pronunciarsi sulla tematica in commento, in rifermento all’attribuzione per testamento di un complesso immobiliare in favore del Comune di Firenze, a condizione che l’ente togliesse la gestione dello stesso alla società appaltatrice per poterlo gestire direttamente, mantenendone la destinazione per almeno sessanta anni.
La suddetta ordinanza ha, infatti, affermato che in tema di disposizioni testamentarie contenenti vincoli di destinazione e limiti al potere di disposizione del bene, è valida la clausola che impone al beneficiario dell’attribuzione patrimoniale un vincolo di destinazione temporalmente limitato, purché contenuto entro convenienti limiti di tempo e rispondente ad un apprezzabile interesse delle parti. La valutazione della “convenienza” del limite temporale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che deve tenere conto della natura del diritto interessato, dell’interesse che il limite intende soddisfare e del soggetto cui il limite è imposto. Non viola l’art. 1379 codice civile la disposizione testamentaria che attribuisce un immobile ad un ente pubblico con vincolo di destinazione ad uso sportivo-ricreativo per sessanta anni, quando tale vincolo non ha carattere di perpetuità ed è funzionale al perseguimento di finalità di interesse collettivo. Il termine di sessanta anni può ritenersi congruo anche alla luce del parametro normativo di cui all’art. 2645-ter codice civile, che ammette vincoli di destinazione fino a novanta anni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a pubbliche amministrazioni. La ratio sottesa al divieto di alienazione perpetua va contemperata con l’esigenza di garantire l’attuazione di finalità solidaristiche e di pubblica utilità, specie quando il beneficiario sia un ente pubblico istituzionalmente deputato alla cura degli interessi della collettività. Il vincolo di destinazione imposto dal testatore risulta quindi legittimo quando, pur limitando temporaneamente i poteri dispositivi dell’ente beneficiario, consente di realizzare un vantaggio per la comunità attraverso la gestione di servizi a finalità sociale senza scopo di lucro.
Alla luce di queste considerazioni, si arriva da affermare che la Cassazione ha stabilito due elementi imprescindibili affinché possa trovare applicazione il divieto ex art. 1379 codice civile per testamento:
- L’elemento temporale ovvero i “entro convenienti limiti di tempo”;
- L’elemento oggettivo consistente nell’ apprezzabilità dell’interesse sotteso al vincolo.