Nozione e natura giuridica dei consorzi
Il consorzio, previsto e disciplinato dagli artt. 2602 e seguenti del Codice civile, è un contratto tipico a parti qualificate, ossia tra imprenditori (per tali intendendosi i soggetti che rientrano nella definizione fornita ex art. 2082 del Codice civile), con comunione di scopo (ma non necessariamente plurilaterale, perché le parti possono anche essere due), formale (è infatti richiesta la forma scritta a pena di nullità), tendenzialmente a struttura aperta ex art. 1332 del Codice civile (ma nella prassi spesso si deroga a questo carattere rendendolo un contratto chiuso: sul punto si rinvia a quanto esposto infra).
Inoltre, secondo l’opinione prevalente, il contratto di consorzio non può essere concluso a tempo indeterminato, in quanto ciò tradirebbe la ratio stessa del negozio in esame, che è volto a dar vita a forme di collaborazione tra imprese che devono, tuttavia, rimanere tra loro distinte; in tal senso, la temporaneità appare un corollario necessario di tale collaborazione.
La cifra distintiva del consorzio, invero, è proprio lo scopo che lo sorregge, che consiste nella creazione di un’organizzazione comune tra gli imprenditori che ne sono parte: in particolare, con i consorzi cosiddetti anticoncorrenziali, gli imprenditori mirano a darsi una disciplina comune, mentre, con i consorzi di coordinamento, gli imprenditori consorziati mirano a realizzare una cooperazione aziendale.
Lo scopo consortile, pertanto, appare come una species dello scopo mutualistico (per tale intendendosi lo scopo tipico della società cooperative, che consiste nel fornire beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione sociale, a condizioni più vantaggiose di quelle reperibili sul mercato). Al pari dello scopo lucrativo (cioè lo scopo tipico delle società di persone e di capitali, consistente nel dividere gli utili prodotti grazie all’attività sociale), invero, lo scopo consortile è uno scopo egoistico e realizza un vantaggio patrimoniale dei consorziati, ma, a differenza di quanto avviene nelle società lucrative, in via indiretta, cioè garantendo agli imprenditori coinvolti un risparmio di spesa o un maggior profitto.
In base allo scopo, si distinguono, da un lato, i consorzi anticoncorrenziali (costituiti al fine prevalente o esclusivo di disciplinare, limitandola, la reciproca, concorrenza sul mercato fra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari), ammissibili nel rispetto e nei limiti della disciplina antimonopolistica e, dall’altro lato, i consorzi di coordinamento (finalizzati allo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese: costituiscono uno strumento di cooperazione interaziendale finalizzato alla riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate, che realizza il risultato di preservare la struttura concorrenziale del mercato e sono per questo guardati con favore dall’ordinamento).
Sotto il profilo civilistico della struttura, invece, i consorzi si distinguono in due tipologie.
In primo luogo, vi sono i consorzi con attività interna, che sono privi di soggettività giuridica, non necessitano della costituzione di un fondo comune e non sono iscritti al Registro delle Imprese (con la conseguenza che l’atto costitutivo del consorzio non deve per forza rivestire la forma notarile, necessaria proprio ai fini dell’iscrizione).
In secondo luogo, si sono i consorzi con attività esterna, cioè veri e propri enti dotati di soggettività giuridica (ma privi di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale perfetta) ed iscritti al Registro delle Imprese: in relazione a tali enti è prevista una forma di autonomia patrimoniale imperfetta che opera in favore del consorziato, non del consorzio (a differenza di quanto previsto per le società di persone, dove l’autonomia patrimoniale imperfetta opera in favore della società): in altre parole, i creditori dei singoli consorziati possono far valere le proprie pretese anche sul fondo comune (oltre che sul patrimonio personale dell’imprenditore debitore), mentre i creditori del consorzio possono rivalersi unicamente sul fondo comune e mai sul patrimonio personale dei singoli imprenditori consorziati.
Disciplina dei consorzi
L’esposta distinzione tra consorzi con attività interna ed esterna rileva anche, e soprattutto, sotto il profilo della disciplina applicabile.
Invero, il Codice civile prevede una disciplina comune, applicabile a tutti i consorzi, che riguarda la costituzione del consorzio ed i rapporti tra i consorziati ed una normativa speciale applicabile ai soli consorzi con attività esterna, in relazione alla quale, in particolare, si può osservare quanto segue.
Come accennato, per i consorzi con attività esterna è richiesta necessariamente l’iscrizione al Registro delle Imprese in apposita Sezione, con la conseguenza che l’atto costitutivo del consorzio deve essere redatto, necessariamente, per atto pubblico o scrittura privata autenticata (viceversa, non sarebbe iscrivibile).
In quanto soggetto di diritto, il consorzio agisce nei confronti dei terzi come ente autonomo e la rappresentanza legale dell’ente spetta al presidente del consorzio (salvo che lo statuto la attribuisca ad un soggetto diverso): viceversa, in caso di consorzio con attività interna, non dando il contratto vita ad un nuovo soggetto di diritto, i singoli consorziati possono agire solo in nome e per conto proprio.
Deve, poi, essere costituito un fondo consortile (o fondo comune), che consiste in un fondo patrimoniale destinato al perseguimento dello scopo consortile, formato dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi. Su punto si precisa che appositamente si è parlato di “contributi”, piuttosto che di “conferimenti”, in quanto il consorzio, a differenza delle società, non è dotato di un capitale sociale. Come sopra accennato, poi, il fondo consortile risponde di due tipi di obbligazioni: in primo luogo, le obbligazioni assunte in nome del consorzio, delle quali il fondo comune risponde in via esclusiva; in secondo luogo, le obbligazioni assunte in nome di singoli consorziati, di cui il fondo comune risponde in solido con il consorziato obbligato, con la precisazione, tuttavia, che il peso economico dell’obbligazione è comunque destinato a gravare sul solo consorziato, quindi, in caso di adempimento da parte del consorzio, quest’ultimo avrà regresso verso il consorziato obbligato.
In relazione al fondo comune, la dottrina si è poi interrogata sul fatto che, in caso di recesso o esclusione dal consorzio, spetti o meno all’ex consorziato la liquidazione della quota di partecipazione al fondo consortile, essendo sul punto state elaborate due teorie.
Secondo alcuni Autori, la liquidazione della quota di partecipazione non spetterebbe: tale tesi è argomentata sulla base di quanto disposto dagli artt. 2609 (laddove afferma che la quota di partecipazione al consorzio si accresce agli altri consorziati) e 2614 (dove prevede che, finché dura il consorzio, non si può procedere alla divisione del fondo) del Codice civile.
È, tuttavia, prevalente l’opposta opinione secondo cui, almeno nel silenzio dello statuto, che può prevedere diversamente, la liquidazione spetta al consorziato receduto o escluso, in quanto il menzionato art. 2609 del Codice civile si riferisce alla sola quota di produzione (cioè l’insieme di diritti e obblighi assunti dai consorziati), non alla quota di partecipazione al fondo consortile, la quale deve quindi essere liquidata. Sul punto, si precisa, tra l’altro, che la liquidazione può avvenire anche in natura, ma solo con il consenso unanime dei consorziati.
Per quanto riguarda, invece, la disciplina comune, applicabile a tutti i consorzi, i tratti salienti possono essere sintetizzati come segue.
Al momento della costituzione del consorzio, l’atto costitutivo deve contenere tutte le indicazioni richieste dall’art. 2603 del Codice civile, tra le quali la durata; tuttavia, qualora quest’ultima non sia espressamente prevista, la durata si presume decennale (così l’art. 2604 del Codice civile), anche in caso di consorzi anticoncorrenziali, in deroga al termine quinquennale previsto dall’art. 2596 del Codice civile.
Sotto il profilo dell’organizzazione, il consorzio deve dotarsi di due organi. Da un lato, un’assemblea composta da tutti i consorziati, che ha funzioni deliberative e delibera solitamente a maggioranza, tranne in caso di modifiche dell’atto costitutivo, per le quali l’art. 2607 del Codice civile richiede il consenso unanime dei consorziati; invero, trattandosi della modifica di un contratto a tutti gli effetti, non si può prescindere dal consenso a tal fine di tutte le parti. Dall’altro lato, un organo direttivo, con funzioni gestorie, che risponde verso i consorziati in base alle norme sul mandato, a capo del quale viene nominato un presidente (che, come detto, in caso di consorzio con attività esterna, ha anche il potere di rappresentanza dell’ente).
Qualora, poi, l’imprenditore consorziato intenda cedere la propria partecipazione, la cessione potrà avvenire in due diversi modi, cioè, o con la cessione dell’azienda, che ricomprende anche la partecipazione al consorzio, che è a tutti gli effetti un contratto aziendale, ex art. 2558 del Codice civile, oppure con una ordinaria cessione di contratto ex art. 1406 e seguenti del Codice civile in favore di un altro imprenditore, che quindi richiede il consenso di tutti i consorziati.
In ogni momento, poi, i consorziati possono decidere di continuare l’attività consortile in una forma associativa diversa, tramite una trasformazione eterogenea in altro ente societario (art. 2500-octies del Codice civile) o non societario (in forza del principio di atipicità delle trasformazioni), con la precisazione che, in caso di consorzio con attività interna la trasformazione comporterà una continuità solo di patrimonio, non anche di soggetto, con la conseguente necessità di inserire nell’atto di trasformazione tutte le menzioni richieste ai fini del trasferimento (in favore dell’ente di arrivo) dei diritti reali immobiliari eventualmente di titolarità del consorzio.
Da ultimo, il consorzio si scioglie per le cause indicate dall’art. 2611 del Codice civile ed in generale è sempre richiesto il consenso unanime dei consorziati, tranne in caso di scioglimento per giusta causa, essendo, in tal caso, sufficiente il consenso della maggioranza.
Società consortili: nozione, natura giuridica e disciplina.
Le società consortili, previste dall’art. 2615-ter del Codice civile, sono società lucrative (cioè società di persone o di capitali), diverse dalle società semplici, costituite non al solo fine di dividere gli utili derivanti dall’attività sociale (scopo lucrativo), ma anche per perseguire lo scopo consortile ex art. 2602 del Codice civile, come sopra definito.
La questione maggiormente controversa relativa a tali società consiste nella natura giuridica delle medesime che si riflette sull’individuazione della disciplina ad esse applicabile.
Sul punto, sono state elaborate e sostenute due diverse teorie.
Secondo una prima impostazione, si tratterebbe di veri e propri consorzi, ma organizzati in forma societaria: se così fosse, la struttura corporativa sarebbe solo la forma organizzativa prescelta. Il riflesso pratico di questa teoria è che si applicherebbe in primis la normativa sui consorzi e solo residualmente la disciplina del tipo societario prescelto. A tale opinione, tuttavia si può obiettare che la società consortile è diversa dal consorzio, in quanto, da un lato, è diversa dal consorzio con attività interna, il quale non svolge un’attività d’impresa comune, che è l’elemento essenziale di ogni società; dall’altro lato, è diversa dal consorzio con attività esterna, il quale persegue solo lo scopo consortile, mentre la società consortile persegue uno scopo più complesso, aggiungendo allo scopo della società lucrativa quello consortile.
È, infatti, senza dubbio prevalente l’opposta visione, fatta propria anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui le società consortili altro non sono che ordinarie società, con l’unica peculiarità consistente nell’oggetto sociale. Da ciò discende che alle società consortili si applicano solo le norme sul tipo societario prescelto, salva la previsione di specifiche clausole statutarie che riproducono la disciplina dei consorzi, nella misura in cui non confliggano con i principi inderogabili del diritto societario. A tal proposito, si osservino alcuni esempi specifici: è possibile la previsione del voto capitario anche in s.p.a. consortile, sfruttando il meccanismo dell’art. 2351 comma 3 del Codice civile, che ammette le clausole statutarie in deroga al principio generale secondo cui ogni azione dà diritto ad un voto; è altresì possibile escludere la costituzione del fondo consortile (anzi, in verità, ciò che appare problematico è, all’opposto, la costituzione di tale fondo, che può apparire confliggente rispetto alla normativa sul capitale sociale). Non sarebbe, invece, possibile prevedere statutariamente la responsabilità dei consorziati solidamente a quella del fondo consortile come prevista dall’art. 2615 comma 2 del Codice civile, in quanto tale regime di responsabilità è opposto rispetto a quanto sul punto inderogabilmente previsto in materia sia di società di persone che di capitali.
Da ultimo, si osserva che, ex art. 2615-ter comma 2 del Codice civile, l’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci di effettuare contributi in denaro ulteriori rispetto ai conferimenti, essendo in tal caso necessario che la clausola statutaria preveda la competenza a richiedere tali contributi (generalmente attribuita all’organo amministrativo), le modalità e i criteri di determinazione dei contributi (ad esempio, commisurati alle perdite accertate dal bilancio) e di ripartizione fra i soci (ad esempio in base alla percentuale di capitale sociale da ciascuno detenuto).
Tra l’altro, se questa clausola viene introdotta successivamente alla costituzione della società consortile, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’introduzione può avvenire solo all’unanimità, salvo che lo statuto prevede espressamente la possibilità di introdurre una clausola di tal genere a maggioranza, ma, in questo caso, con necessaria previsione in favore dei soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera del diritto di recesso.