Negli ultimi decenni, il panorama giuridico italiano ha conosciuto una profonda evoluzione in tema di diritti delle coppie dello stesso sesso.
Se, un tempo, tali rapporti affettivi rimanevano privi di riconoscimento formale, progressivamente si è assistito a un percorso di avvicinamento alla piena tutela, culminato, almeno in parte, con l’approvazione della l. 20 maggio 2016, n. 76, cosiddetta “Legge Cirinnà”.
Tale normativa ha introdotto nell’ordinamento (oltre a disciplinare il fenomeno della convivenza di fatto, che, tuttavia, secondo l’opinione ancora oggi prevalente, si applica alle sole coppie eterosessuali) le unioni civili tra persone dello stesso sesso, segnando un passaggio decisivo verso il riconoscimento dei diritti e dei doveri dei partner, pur mantenendo alcune differenze rispetto al matrimonio tradizionale.
Permangono tuttavia alcune lacune normative e di tutela, in particolare per quanto riguarda le coppie formate da persone dello stesso sesso conviventi, ma non unite civilmente, in quanto, come accennato, la disciplina delle convivenze di fatto, pure contenuta nella legge Cirinnà, si applica alle sole coppie formate da persone di sesso diverso.
Il presente contributo intende offrire una panoramica sintetica degli strumenti giuridici che tutelano le coppie dello stesso sesso, sia durante la vita dei partner, sia in caso di successione mortis causa di uno dei due, con particolare attenzione alle opportunità offerte dall’autonomia privata e al ruolo del notaio nell’assicurare certezza giuridica e protezione alle parti.
Il quadro normativo generale
Fino a tempi relativamente recenti, le coppie omosessuali non godevano di alcuna tutela specifica nel nostro ordinamento. Alcuni diritti erano, ad ogni modo, stati riconosciuti in via interpretativa, attraverso un’applicazione estensiva dei principi costituzionali di dignità, uguaglianza e tutela della vita familiare sanciti dagli artt. 2, 3 e 29 Cost., spesso supportata dalla giurisprudenza interna (sia corti di merito, sia dalla Corte Costituzionale) e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tra tutte, non può non essere ricordata la sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, che ha rappresentato una pietra miliare nel percorso di riconoscimento di tutele alle coppie omosessuali, affermando il diritto fondamentale delle persone dello stesso sesso a vivere liberamente la propria condizione di coppia, sebbene negando la possibilità di accesso al matrimonio. La pronuncia ha, infatti, evidenziato l’esigenza di una regolamentazione legislativa, che è giunta, sei anni più tardi, con la già citata l. n. 76 del 2016.
L’unione civile tra persone dello stesso sesso, introdotta dalla Legge Cirinnà, è un istituto autonomo rispetto al matrimonio, pur mutuandone molti profili. Tuttavia, il legislatore ha espressamente escluso alcune caratteristiche, come si vedrà infra.
Principali differenze tra unione civile e matrimonio
Come accennato, le differenze rispetto al matrimonio tradizionale restano significative. In particolare, l’unione civile non prevede l’obbligo reciproco di fedeltà tra i partner (inderogabilmente previsto tra i coniugi ex art. 143 del Codice civile).
Inoltre, lo scioglimento dell’unione avviene in maniera più semplice rispetto allo scioglimento del matrimonio: non è infatti prevista la necessaria fase intermedia della separazione, seguita dalla sentenza di divorzio, ma è sufficiente una dichiarazione resa da una o entrambe le parti davanti all’ufficiale di stato civile di volere interrompere l’unione.
Un ulteriore elemento di distinzione riguarda l’adozione: l’unione civile non consente l’adozione di minori, salvo casi di adozione in casi particolari, nei quali la giurisprudenza valuta la stepchild adoption (cioè, la possibilità per una delle due parti dell’unione civile di adottare il figlio del partner) caso per caso.
Questi elementi impongono una maggiore attenzione alla pianificazione giuridica e patrimoniale, soprattutto quando si voglia garantire una protezione piena e duratura al partner.
Le tutele inter vivos
La costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso produce effetti giuridici rilevanti.
I partner assumono il reciproco obbligo di assistenza morale e materiale, sono tenuti alla coabitazione e alla contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie capacità reddituali e patrimoniali.
Dal punto di vista patrimoniale, nel silenzio, si applica loro il regime della comunione legale dei beni ex artt. 177 e seguenti del Codice civile (che quindi, come nel matrimonio, costituisce il regime patrimoniale legale tra gli uniti civili), ma è possibile un’apposita dichiarazione, che deve essere formalizzata all’atto della costituzione dell’unione o successivamente mediante apposita dichiarazione, con cui gli uniti civili optano per il regime della separazione dei beni.
Successive modifiche del regime patrimoniale vigente tra gli uniti civili, poi, devono essere realizzate necessariamente nelle forme previste dal Codice civile per le convenzioni matrimoniali (artt. 162 e seguenti del Codice civile), dunque, per atto pubblico in presenza di due testimoni.
Secondo l’opinione prevalente (sebbene alcuni interpreti si siano espressi in senso contrario), invece, l’unione civile è incompatibile con l’istituto del fondo patrimoniale (artt. 167 e seguenti del Codice civile), che, non essendo espressamente richiamato dalla l. Cirinnà, si ritiene dover essere riservato alle sole famiglie fondate sul matrimonio.
Strumenti di autonomia privata
Per rafforzare ulteriormente la tutela reciproca, le coppie dello stesso sesso possono, poi, avvalersi di strumenti di autonomia privata.
La procura speciale o generale, ad esempio, consente a un partner di rappresentare l’altro in ambiti sensibili, come la gestione patrimoniale o le decisioni sanitarie.
L’amministrazione di sostegno rappresenta un ulteriore strumento che può rivelarsi estremamente utile nel caso in cui uno dei due partner: invero, ciascun partner può designare preventivamente l’altro come proprio amministratore, prevenendo così l’intervento del giudice per il caso in cui in futuro per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
Particolare rilevanza assume, poi, anche il mandato post mortem exequendum, cioè il negozio inter vivos (che può essere contenuto in un atto tra vivi o in un testamento, pur mantenendo, anche in quest’ultimo caso, la natura di negozio tra vivi, in quanto la morte non assurge a causa del negozio, ma costituisce solo il momento in cui il mandato deve essere eseguito) che consente a un partner di affidare all’altro l’esecuzione di specifiche disposizioni dopo la propria morte, garantendo la realizzazione della propria volontà anche oltre la vita.
Le tutele mortis causa
Sul piano successorio, vi è una totale equiparazione tra il coniuge e l’unito civile.
Invero, l’unione civile attribuisce al partner superstite gli stessi diritti del coniuge.
Il partner è considerato erede legittimario, pertanto ha diritto a una quota di riserva sull’eredità nonché al diritto di abitazione sulla casa di comune residenza e al diritto d’uso sugli immobili che la corredano, ex art. 540 comma 2 del Codice civile.
In assenza di testamento, il partner superstite è chiamato a succedere secondo le regole della successione legittima. In presenza di testamento, le disposizioni in favore del partner devono comunque rispettare i limiti imposti dalla tutela della legittima (così l’art. 457 comma 3 del Codice civile).
Ad ogni modo, al fine di prevenire possibili contestazioni in sede successoria, nonché il verificarsi di di lesioni della legittima dell’unito civile (che porterebbero alla necessità di esperire in giudizio l’azione di riduzione), in sede di consulenza notarile, è opportuno suggerire la redazione di testamenti dettagliati, evitando clausole generiche, prevedendo clausole di sostituzione o di accrescimento per garantire la piena efficacia delle disposizioni, anche in caso qualcuno dei soggetti istituiti eredi non possa o non voglia accettare l’eredità.
Si precisa che, in forza di quanto sopra osservato in relazione allo scioglimento dell’unione civile, non troveranno mai applicazione alle coppie dello stesso sesso le disposizioni successorie riferite al coniuge separato.
Conclusioni
In forza di quanto finora osservato, si può affermare che il diritto italiano ha compiuto importanti passi avanti nel riconoscere e tutelare le coppie dello stesso sesso, ma restano ancora margini di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda le coppie dello stesso conviventi di fatto, che scelgono di non sottoscrivere un’unione civile, alle quali, come detto, non si applica la disciplina della convivenza di fatto, che, secondo l’opinione ancora oggi prevalente è rivolta unicamente alle sole coppie eterosessuali.
In questo contesto, come evidenziato, l’autonomia privata rappresenta una risorsa preziosa. Strumenti come le procure, l’amministrazione di sostegno e il testamento consentono di proteggere efficacemente la relazione affettiva e il patrimonio costruito insieme.
Il notaio assume un ruolo centrale non solo nella redazione di tali atti, ma anche nella consulenza strategica preventiva, orientata a individuare le soluzioni più idonee e personalizzate per ciascuna coppia. Pianificare oggi significa tutelare il proprio futuro, garantendo continuità e serenità anche nelle situazioni più complesse e delicate.