Introduzione
Come ben noto a tutti, in materia di successioni, il divieto dei patti successori è espressamente disciplinato dall’art. 458 codice civile, il quale sancisce la nullità di qualsiasi “convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E’ del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
Pertanto, tale norma sancisce la nullità di qualsiasi patto istitutivo, dispositivo o rinunziativo riferibile ad una successione non ancora aperta.
Inoltre, in dottrina è pacificamente ammessa anche la nullità dei patti successori aventi efficacia obbligatoria e non solo quelli ad efficacia reale.
Il caso analizzato dalla giurisprudenza
Con riferimento all’individuazione dei parametri di valutazione di violazione del divieto dei patti successori, è importante focalizzarsi sul recente intervento della Cassazione con l’ordinanza n. 722 del 9 gennaio 2024, la quale ha, di fatto, “rimescolato le carte in tavola”.
Il caso su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione è il seguente.
Tizio, con atto di citazione, chiedeva al Tribunale la revoca, ex art. 803 codice civile, della donazione di quote di partecipazione della società Alfa avvenuta in data 18 dicembre 2008 che il medesimo Tizio aveva disposto in favore delle sorelle Caia e Sempronia. Le sorelle si costituivano eccependo che l’atto, formalmente intestato come donazione, in realtà costituiva di fatto l’esecuzione di un accordo formalizzato con scrittura privata del 15 novembre 2008, con il quale i genitori avevano inteso definire, assieme ai figli, il futuro assetto della divisione dei propri beni tra i figli medesimi. Le convenute deducevano che detto accordo (sottoscritto da tutti i membri della famiglia) contemplava appunto anche l’impegno di Tizio di cedere alle sorelle le quote della società Alfa di cui era titolare, al fine di riequilibrare precedenti attribuzioni dei genitori effettuate in favore dello stesso Tizio.
Secondo le convenute, pertanto, la donazione di cui Tizio chiedeva la revocazione veniva in realtà a dissimulare un negozio con funzione solutoria, in adempimento dell’impegno precedentemente assunto dall’attore stesso con la citata scrittura privata.
Tizio replicava deducendo la nullità della scrittura privata datata 15 novembre 2008 in quanto in violazione del divieto dei patti successori di cui all’art. 458 codice civile.
Il Tribunale definiva il giudizio respingendo la domanda di Tizio, escludendo la sussistenza dei presupposti per poter qualificare l’atto pubblico del 18 dicembre 2008 come donazione dal momento che:
(i) risultava del tutto assente in capo al disponente lo spirito di liberalità, risultando che l’attore medesimo aveva operato in esecuzione della scrittura privata del 15 novembre 2008;
(ii) mancava l’effettivo depauperamento dell’attore, in quanto era emerso che, pur essendo le quote formalmente intestate a Tizio, l’attribuzione patrimoniale proveniva di fatto dai genitori delle parti ed aveva la finalità di riequilibrare precedenti attribuzioni fatte al medesimo Tizio dai genitori stessi.
Sull’appello di Tizio si pronunciava, in seguito, la Corte d’appello di Milano, accogliendo il gravame. Secondo i Giudici di secondo grado, pur avendo il giudice di prime cure correttamente negato all’atto pubblico del 18 dicembre 2008 la natura di donazione (data l’assenza dei due requisiti di cui all’art. 769 codice civile), ed altrettanto correttamente concluso che detto atto pubblico doveva collegarsi funzionalmente alla scrittura privata del 15 novembre 2008 (perseguendo lo scopo di realizzare un progetto divisionale del patrimonio dei genitori), aveva proceduto ad una errata interpretazione della scrittura privata del 15 novembre 2008. Infatti, secondo la Corte quest’ultima integrava un patto successorio, avendo le parti stipulato l’intesa in qualità di aventi diritto alla successione non ancora aperta dei genitori. In tale contesto risultava che la comune intenzione delle parti medesime era quella di riequilibrare le rispettive situazioni patrimoniali nell’ottica della futura successione dei genitori, con rinunzia altresì al diritto di contestare in futuro le donazioni effettuate dai genitori.
Intervento della Cassazione
Alla luce di quanto esposto, Caia e Sempronia hanno presentato il ricorso in Cassazione, la quale lo ha accolto asserendo che non ci fosse la violazione del divieto ex. art. 458 codice civile.
Le ricorrenti, infatti, impugnavano la decisione nella parte in cui questa aveva ritenuto che l’atto pubblico costituisse un contratto in frode alla legge in quanto finalizzato ad eludere il disposto di cui all’art. 458 codice civile, argomentando che sia la scrittura privata datata 15 novembre 2008 sia il menzionato atto pubblico del 18 dicembre 2008 concernevano beni che erano già nella titolarità di Tizio e quindi non potevano integrare una violazione dell’art. 458 codice civile. In sostanza, secondo le ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito al contenuto della scrittura privata datata 15 novembre 2008 una finalità abdicativa rispetto ai diritti derivanti ai legittimari dall’apertura della successione, senza che invece una simile volontà emergesse in modo univoco dalla scrittura medesima.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo fondati i suindicati motivi, ricordando che: “per stabilire se una determinata pattuizione rientra nell’ipotesi stabilita dall’art. 458 c.c., è necessario accertare: 1) che il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) che la cosa o i diritti formanti l’oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o siano comunque compresi nella stessa; 3) che il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello ius poenitendi; 4) che l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) che il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, avvenga mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato”.
Conclusioni
Con questo recente intervento, la Cassazione ha voluto, in un certo senso, “ridimensionare” l’applicabilità del divieto dei patti successori, in quanto delinea dei parametri ben definiti al fine di accertare la sussistenza o meno del divieto ex art. 458 codice civile.
Per far sì che ricorra la violazione di tale divieto, infatti, occorre innanzitutto verificare se il vincolo ha la finalità di creare, trasmettere o rinunciare a diritti successori relativi ad una successione non ancora aperta e se tali diritti derivino da una futura successione o se debbano, invece, essere ricompresi nella stessa e non riguardino beni altrui o beni futuri.
Inoltre, occorre accertarsi se il promittente sia voglia privare del tutto dello ius penitendi ovvero del diritto di recedere (in particolare nell’ipotesi di patto successorio istitutivo).
Pertanto, l’operatività del divieto deve essere parametrata, in quanto la “morte” deve essere la causa del patto e non soltanto un termine per lo stesso. Se, infatti, il presupposto del patto non è l’evento morte, l’accordo è da ritenersi valido perché non viola l’art. 458 codice civile.
Nel caso sopra analizzato, i genitori erano ancora in vita ed il credito vantato dalle due sorelle era attuale e non riferibile ad una successione futura, poiché era sorto in virtù della donazione e non della morte dei genitori.
In conclusione, affinché si possa parlare di violazione del divieto dei patti successori, l’accordo deve sempre trovare la propria causa nella “morte” del soggetto della cui successione futura si dispone.