Le società cooperative si differenziano dalle società di persone e di capitali sotto il profilo dello scopo-fine che sono volte a perseguire. Se, invero, società di persone e di capitali sono società lucrative, in cui, quindi, lo svolgimento dell’attività sociale è volta alla divisione degli utili tra i soci, nelle cooperative l’attività sociale mira alla realizzazione dello scopo mutualistico, consistente nel fornire ai soci beni, o servizi, o opportunità di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle offerte dal mercato in quel momento.
La meritocrazia di tutela dello scopo mutualistico, tra l’altro, è tale da essere stato riconosciuto alle società cooperative un riconoscimento di rango costituzionale: recita, infatti, l’art. 45 della Costituzione che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata […]”.
Lo scopo mutualistico e i rapporti mutualistici
Come accennato, lo scopo mutualistico costituisce il fulcro delle società cooperative e ne permea l’intera disciplina, comportando, in primo luogo, una tendenziale coincidenza tra i soci e i fruitori dei servizi o beni offerti dalla società: la società, in altri termini, opera principalmente in favore dei propri soci cooperatori (sulla differenza tra soci cooperatori e sovventori si dirà infra), ma non solo, potendo fornire i propri beni o servizi anche a terzi che nulla hanno a che fare con la società.
Proprio in considerazione della circostanza che la produzione di beni e servizi è indirizzata in primo luogo verso i soci e in secondo luogo verso i terzi, si è soliti affermare che nella società cooperativa “i soci si fanno imprenditori di se stessi”; pertanto, il risultato finale perseguito rimane sempre l’ottenimento di un vantaggio patrimoniale e quindi economico, ma qui il risultato economico ottenuto non è il lucro soggettivo (cioè la remunerazione maggiore possibile, in considerazione del capitale investito), bensì il soddisfacimento di un comune bisogno economico dei soci, conseguendo al contempo o un risparmio di spesa o una maggiore retribuzione.
Tali obiettivi, pienamente compatibili con lo scopo mutualistico della società vengono perseguiti, più che grazie agli apporti effettuati dai soci a titolo di conferimenti, sulla base dei rapporti mutualistici tra soci cooperatori e società: tali rapporti sono rapporti diversi tra vincolo sociale, definibili come rapporti di tipo economico volti al conseguimento dell’oggetto sociale, che possono sostanziarsi, ad esempio, nell’acquisto di merci prodotte dalla società, nella fornitura di materie prime, nell’espletamento di determinate prestazioni lavorative.
Ciò porta, tra l’altro, a comprendere la differenza tra utili e ristorni: i primi sono remunerazioni calcolate sulla base del capitale e spettano sulla base del conferimento effettuato; i secondi sono invece strumenti tecnici (possono, ad esempio, coincidere con un aumento della quota, o con l’attribuzione di strumenti finanziari partecipativi) utilizzati per attribuire ai soci i vantaggi mutualistici che gli spettano in forza dei rapporti mutualistici instaurati con la società.
In un certo senso, dunque, si può dire che i rapporti mutualistici svolgono nella cooperativa la stessa funzione che i conferimenti svolgono nella s.p.a., cioè fornire alla società gli strumenti necessari per il raggiungimento dello scopo sociale.
I tratti peculiari della disciplina delle società cooperative
Sotto il profilo della disciplina, è bene premettere che il Codice civile, agli artt. 2511 e seguenti, non prevede una disciplina integrale del fenomeno delle società cooperative, bensì detta solo alcune norme specifiche, derogatorie rispetto alla disciplina di base della cooperativa, che può essere retta, in base al numero di soci presenti, e alla consistenza dell’attivo patrimoniale, dalle norme sulla società a responsabilità limitata o da quelle sulla società per azioni.
In particolare, in forza di quanto previsto dall’art. 2522 del Codice civile:
– Se la cooperativa ha tra i tre 3 i 9 soci: i soci devono essere tutti persone fisiche e la società deve essere retta dalle norme sulla s.r.l. (non può essere invece costituita una cooperativa con meno di tre soci);
– Se la cooperativa ha tra 10 e 20 soci o un attivo patrimoniale inferiore a 1.000.000 di euro: i soci possono essere persone fisiche o giuridiche e spetta alla società la scelta di applicare le norme della s.r.l. o della s.p.a.;
– Se la cooperativa ha più di 20 soci o un attivo patrimoniale superiore a 1.000.000 di euro: i soci possono essere persone fisiche o giuridiche e la disciplina applicabile è necessariamente quella prevista per le s.p.a.
Si precisa, tra l’altro, che il passaggio da cooperativa a responsabilità limitata a cooperativa per azioni, o viceversa, non integra una trasformazione, ma il semplice passaggio da un modello all’altro, nell’ambito di un immutato tipo sociale.
Una volta individuata la disciplina di base applicabile alla singola cooperativa, è importante soffermarsi sull’analisi delle norme derogatorie previste da Codice civile e leggi speciali per le società in esame.
La prima differenza che viene in evidenza consiste nel fatto che le società cooperative hanno un capitale c.d. variabile (la variazione dell’importo del capitale, dunque, non necessita di un’apposita modifica statutaria), dal che deriva l’applicazione alle cooperative del c.d. principio della porta aperta, in forza del quale, ai fini dell’ingresso in società di un nuovo socio non è mai necessario un corrispondente aumento del capitale sociale (ma, ovviamente, ciò è comunque sempre possibile e, in questo caso, dovrà essere interamente applicata la disciplina sull’aumento di capitale a titolo oneroso con esclusione del diritto di opzione dei soci), ben potendo l’intero apporto prestato dal terzo essere imputato non a capitale, ma a patrimonio.
Tra l’altro, la variabilità del capitale sociale comporta che tutte le modifiche di quest’ultimo, in aumento o in riduzione, possono essere realizzate anche in assenza di apposita delibera assembleare, verbalizzata da un notaio ed iscritta del Registro delle Imprese, sfuggendo dunque al controllo di legalità notarile, effettuato in caso di modifiche statutarie ex art. 2436 del Codice civile.
Ulteriormente, delle società cooperative possono fare parte due tipologie di soci. I soci cooperatori, che stanno all’interno della cooperativa e instaurare con essa rapporti mutualistici, al fine di percepire i vantaggi mutualistici, e i soci sovventori, che si limitano a sovvenzionare la cooperativa, apportando ricchezza e percependo una quota di utili: la figura di tali soci è disciplinata dalla l. n. 59/1992, che ne sancisce l’ammissibilità e dalla quale si desume il principio generale in forza del quale ai soci sovventori finisce per applicarsi solo in parte la disciplina “speciale” delle cooperative, come infra esposta, in quanto la stessa trova la propria ratio quando applicata con riguardo ai soci cooperatori, ma non a soci che, apportando solo risorse economiche per la società e non prendendo parte ai vantaggi mutualistici, in nulla si differenziano dagli ordinari soci delle società di capitali.
In primo luogo, per i soci cooperatori e non per i soci sovventori lo statuto deve prevedere degli specifici requisiti di ammissione (volti a valutare l’idoneità del nuovo socio al perseguimento dell’oggetto mutualistico), la cui sussistenza viene accertata dagli amministratori; si precisa che tali requisiti devono sussistere in qualsiasi caso di trasferimento della partecipazione, che sia inter vivos oppure mortis causa, con la precisazione, in quest’ultimo caso, che i successori del socio defunto che non possono succedere a quest’ultimo perché sprovvisti dei requisiti di ammissione acquistano il solo diritto alla liquidazione della quota al valore di recesso.
In secondo luogo, l’art. 2538, comma 2 del Codice civile sancisce il principio del voto capitario (una testa, un voto), che, tuttavia, può essere escluso dallo statuto con riferimento ai soci sovventori; per quanto riguarda, invece, i soci cooperatori, l’unica possibile deroga al voto capitario è prevista dall’art. 2543, comma 2 del Codice civile e riguarda il voto nell’elezione dell’organo di controllo, che, in forza di apposita previsione statutaria, può avvenire proporzionalmente alla partecipazione posseduta o in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico.
In terzo luogo, in modo del tutto inedito rispetto a quanto previsto per le società lucrative, l’art. 2525 del Codice civile stabilisce un limite minimo ed il limite massimo al valore delle partecipazioni, che non possono essere inferiori a 25 euro né superiori a 100.000 euro, nonché un limite massimo al valore della singola azione pari ad euro 500.
Altra differenza tra disciplina delle società di capitali e delle cooperative attiene al recesso, in quanto l’art. 2532, comma 1 del Codice civile, con una norma pacificamente inderogabile, prevede che il recesso non possa essere parziale (a differenza di quanto avviene nelle società lucrative, ove il recesso parziale è ammesso per tabulas dall’art. 2437 del Codice civile ed è oggi pressoché pacificamente ammesso anche nelle s.r.l.), per nessun socio, cooperatore, o sovventore, che sia, in quanto questo sarebbe visto come una manovra speculativa ed incompatibile con lo scopo mutualistico.
Anche la disciplina degli organi sociali presenta alcune deroghe rispetto alla disciplina “ordinaria” prevista per le società lucrative, potendosi, in particolare, osservare quanto segue.
– Quanto agli amministratori: ai sensi dell’art. 2542 del Codice civile, l’amministrazione della società deve essere necessariamente affidata ad un consiglio di amministrazione, non essendo ammessa la figura dell’amministratore unico; gli amministratori possono essere nominati per un massimo di tre esercizi (quindi, non fino a revoca o dimissioni, nemmeno nelle cooperative a responsabilità limitata); ex art. 2542 del Codice civile, almeno la maggioranza degli amministratori deve essere scelta tra i soci cooperatori; i titolari di strumenti finanziari partecipativi possono eleggere fino a 1/3 dei componenti del consiglio di amministrazione;
– Quanto all’organo di controllo: la nomina dell’organo è obbligatoria, sia nelle cooperative s.p.a. che in quelle a r.l., solo quando la società supera i parametri di cui all’art. 2477 commi 2 e 3 del Codice civile, nonché quando la cooperativa ha emesso strumenti finanziari non partecipativi; nelle cooperative s.p.a. l’organo di controllo deve essere necessariamente collegiale, mentre nelle cooperative a r.l. la è discussa, ma prevalentemente ammessa, la nomina del sindaco unico (il dubbio sorge a causa del tenore letterale contraddittorio dell’art. 2477 del Codice civile che prevede la nomina del sindaco unico e dell’art. 2543 del Codice civile, che invece parla solo di collegio sindacale: la dottrina, tuttavia, afferma si tratti di un mero difetto di coordinamento); i titolari di strumenti finanziari partecipativi possono nominare massimo un terzo dei componenti del collegio sindacale;
– Quanto al revisore legale dei conti: il Codice non prevede norme specifiche sul punto, tuttavia, secondo la dottrina notarile ed alcune Massime dei Consigli notarili, nelle cooperative s.p.a. è sempre necessaria la nomina del revisore legale unico (o del collegio di revisori) qualora non sia stato nominato, in quanto non obbligatorio, il collegio sindacale;
– Collegio dei probiviri: questo organo non è previsto dalla disciplina codicistica, ma per prassi è previsto e nominato dallo statuto, con competenza relativa alla risoluzione dei conflitti tra società e soci, oppure tra i vari soci, aventi ad oggetto i rapporti mutualistici; qualora lo statuto espressamente lo preveda, la decisione del collegio dei probiviri possa avere il valore di lodo arbitrale (nel silenzio della clausola statutaria sul punto, invece, le decisione del collegio dei probiviri solo impugnabili davanti all’autorità giudiziaria).
Da ultimo, stante la rilevanza anche sociale delle cooperative, nonché delle agevolazioni tributarie (riservate alle sole cooperative a mutualità prevalente, di cui infra) e giuslavoristiche che la legge riconosce a tali società, queste ultime sono altresì soggette a specifiche forme di vigilanza governativa e controllo giudiziario, come espressamente previsto dagli artt. 2545-quaterdecies e quinquiesdecies del Codice civile.
Le cooperative a mutualità prevalente
In conclusione, un’analisi sulla società cooperative non può prescindere dalla disamina della summa divisio prevista dal legislatore in merito a questi enti, relativa alla “entità” dei rapporti mutualistici e del perseguimento dello scopo mutualistico rispetto all’intera attività della società, tra cooperative a mutualità prevalente e non prevalente, attribuendo la legislazione di settore alle sole prime specifiche agevolazioni tributarie, che si aggiungono alle agevolazioni giuslavoristiche previste in generale per tutte le società cooperative.
Si precisa, tuttavia, che il passaggio da cooperativa a mutualità prevalente a non prevalente, o viceversa, non integra una trasformazione societaria, ma un mero “passaggio” di disciplina, continuando la società ad esercitare la propria attività all’interno del medesimo tipo sociale.
Una società cooperativa si definisce a mutualità prevalente in presenza di un fattore economico, di cui al primo comma dell’art. 2512 del Codice civile (“Sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che: 1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci”), nonché di un fattore giuridico, consistente nell’iscrizione in un apposito albo, ai sensi del secondo comma dell’art. 2512 del Codice civile, che si aggiunge all’iscrizione al Registro delle Imprese (qualora la cooperativa svolga attività d’impresa).
La prevalenza, come descritta, deve risultare dai bilanci della società, nei termini in cui ciò è precisato dall’art. 2513 del Codice civile e comporta l’applicazione alla cooperativa di una serie di tassativi divieti previsti dall’art. 2514 del Codice civile, che devono essere fedelmente riprodotti nello statuto, volti pressoché ad eliminare la distribuzione degli utili e delle riserve tra soci, nonché ad assicurare che l’attività sociale sia effettivamente svolta in via prevalente in favore dei soci cooperatori.
Ulteriore divieto previsto per le cooperative a mutualità prevalente è quello di effettuare trasformazioni, previsto ex art. 2545-decies comma 1 del Codice civile, per scopi antielusivi, con la conseguenza che sarà, semmai, necessario un doppio passaggio: in primo luogo, la perdita del carattere della prevalenza, delle modalità di cui infra, in secondo luogo, l’adozione della delibera di trasformazione.
Il carattere della prevalenza, poi, si perde se per due esercizi consecutivi la società non rispetta i criteri di prevalenza, come sopra descritti, ovvero, se la società sceglie di espungere dallo statuto, con apposita delibera, le clausole riproduttive dei superiori artt. 2512 e 2514 del Codice civile: la perdita del carattere della prevalenza, tra l’altro, comporta un obbligo di comunicazione di tale circostanza al Ministero delle attività produttive e fa sorgere ex lege l’obbligo di imputare all’attivo patrimoniale a riserve disponibili (per evitare gli effetti speculativi, che si produrrebbero, qualora la cooperativa, dopo aver perso il carattere della prevalenza, potesse liberamente disporre dell’attivo patrimoniale accumulato anche grazie alle agevolazioni Statali previste per le cooperative a mutualità prevalente), il tutto come previsto dall’art. 2545-octies del Codice civile.